Si avverte spesso come la religione sia oramai fenomeno residuale nella nostra società, sempre più secolarizzata e laicizzata. Un esempio lo abbiamo anche in questi giorni di Pasqua, dominati nel sentire comune più dal desiderio di vacanza che dai riti della Settimana Santa. Segni dei tempi che cambiano, verrebbe da dire, tanto che un certo stupore lo provoca il fatto che un personaggio, per di più famoso, decida di parlare di religione e della propria fede. Di più: condivida le proprie riflessioni e idee con un sacerdote e le metta nero su bianco in un libro.

È quello che ha fatto il grande regista italo-americano Martin Scorsese nel recente “Dialoghi con la fede” (La nave di Teseo, 2024, pp. 160, anche e-book), volume frutto di lunghe discussioni con il gesuita Antonio Spadaro.

Diciamo lunghe discussioni perché tutto ha avuto inizio diversi anni fa, nel marzo del 2016, quando Spadaro, allora direttore della rivista “La civiltà cattolica”, incontrò per la prima volta Scorsese per un’intervista su Silence, la pellicola che il regista aveva dedicato alle persecuzioni subite dai gesuiti in Giappone nel XVII secolo. Quell’intervista diede il via a una serie di dialoghi su temi profondi: l’anima, la fede, l’opera di Dio nel mondo, il male e il bene che caratterizzano la vicenda umana. Questi dialoghi sono confluiti nel libro sotto forma di un lungo racconto in cui Scorsese ripercorre la propria vita a partire dall’infanzia e dalla giovinezza a New York, una infanzia e giovinezza che per la prima volta il regista racconta a viso aperto, senza il filtro delle dichiarazioni da ufficio stampa.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

E sempre senza filtri, parla delle proprie scelte e di come le meditazioni sui temi della fede, della giustizia, del perdono e della grazia divina abbiano influito sulla sua arte e sui suoi film. Emergono le convinzioni di un credente adulto, modellato da anni di riflessioni interiori e capace di esprimere delle consapevolezze eterodosse: «Sono un cattolico praticante? Se con ciò si intende ‘Sei uno che va abitualmente in chiesa?’, la risposta è no. Tuttavia, sin da ragazzo mi sono convinto che la pratica non è qualcosa che avviene soltanto in un edificio consacrato e nel corso di certi riti a un’ora certa del giorno. La pratica è qualcosa che accade fuori, sempre. Praticare, davvero, è fare qualsiasi cosa tu faccia, di buono o di cattivo, e riflettere su questo. Questa è la sfida».

Una consapevolezza, quella della quotidianità della fede e della concretezza che deve permeare la religiosità, che Scorsese fa risalire alle sue esperienze dell’infanzia, alla dura vita degli italo-americani: «Nel quartiere c’erano tantissime persone davvero disperate. C’era un uomo che era conosciuto come ladro di prima categoria, e lo vedevi sempre sfilare alla processione di san Rocco. Ci andava a pregare di avere la forza di rubare di più. A raccontarla sembra una storiella divertente. Ma il protagonista era un uomo così disperato da pregare Dio di aiutarlo a fare il male. Si sentiva come se non avesse scelta. Come possiamo giudicarlo? Quindi per me la transustanziazione (la presenza reale di Cristo nella comunione, ndr) deve avvenire fuori dalla chiesa, affinché andare in chiesa possa diventare qualcosa di più di pagare rate settimanali di una polizza assicurativa etica, per così dire. Ed è importantissimo che i laici partecipino così, trovino la loro strada per incorporare Dio nei loro cuori. Sai, mi colpisce il fatto che vediamo e sentiamo costantemente le parole “giustizia e misericordia, giustizia e misericordia”. E mi chiedo: la misericordia non dovrebbe venire per prima? Perché la giustizia può facilmente, così facilmente diventare un grido di sangue, di punizione, e sempre di più e ancora e ancora, avanti così fino alla fine del mondo. E a un certo punto, deve finire».

Parole chiare, nette, che paiono uscite direttamente dalla bocca di Robert De Niro in "Quei bravi ragazzi” oppure in “Casinò”.

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