Il primo giorno di ottobre del 1949 il Partito comunista cinese, guidato dal suo leader Mao Zedong, istituì la Repubblica popolare cinese. Fu un evento epocale: dopo l’Unione Sovietica un altro grande paese assumeva una guida comunista e cambiavano totalmente gli assetti prima di tutto dell’Asia e poi del mondo intero.

Come già avvenuto in Russia, l’affermazione della rivoluzione arrivò al termine di una guerra civile che vide contrapposti il partito nazionalista del Guomindang, guidato dal 1925 dal generale conservatore Chiang Kai-Shek, e il Partito comunista cinese fondato nel 1921 da Mao Zedong. Lo scontro iniziò già sul finire degli anni Venti del Novecento e fu sospeso solo per contrastare l’invasione giapponese della Cina avviata nel 1937. Durante la guerra civile le forze comuniste riuscirono a superare situazioni disperate, come la Lunga marcia di 10.000 chilometri attraverso la Cina per sfuggire all’offensiva nazionalista (1934-1935). In quegli anni i comunisti di Mao furono però anche in grado di guadagnarsi il sostegno dei contadini, che diedero un contributo fondamentale per la vittoria dell’esercito di Mao del 1949. Chiang Kai-Shek fuggì in esilio a Taiwan, dove formò un governo che si considerava l’unico esecutivo legittimo della Repubblica di Cina.

Grande protagonista dell’epopea rivoluzionaria e belliche che portò alla nascita della Repubblica popolare cinese fu naturalmente Mao Zedong a cui Guido Samarani, docente di Storia della Cina presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha dedicato una documentata biografia: “Mao Zedong” (Salerno Editrice, 2024, pp. 298).

Un fatto emerge chiaramente dal libro: non possiamo capire la Repubblica popolare cinese di oggi, pur così lontana da quella del 1949, se non partiamo dalle sue radici. E quelle radici furono piantate da Mao, che per quasi trent’anni, fino alla morte avvenuta nel 1976, curò e direzionò lo sviluppo della nazione cinese. Presidente, Grande Timoniere, padre del comunismo cinese e della Cina rivoluzionaria e socialista, leader spietato e tirannico: come ogni grande protagonista della storia anche Mao Zedong è stato vittima di giudizi diversi e antitetici. Samarani ne ricostruisce il percorso politico e personale, sfruttando l’ampia mole di documenti disponibili, in cinese e nelle principali lingue occidentali, e giovandosi dei più significativi risultati del dibattito storiografico in Cina e in Occidente.

Ci racconta così come Mao modellò la Cina e i cinesi. Nel 1949 Mao si trovava in una situazione complessa, perché si trattava di dar vita a una struttura statale comunista nel contesto di un Paese immenso, con risorse potenziali molto ampie ma con un presente di distruzione e miseria, dopo quasi un cinquantennio di guerre, rivoluzioni, instabilità. Il governo comunista impose da subito radicali riforme economiche: nazionalizzazione delle grandi imprese industriali e commerciali, collettivizzazione delle terre e sostegno all’industria pesante. I risultati furono significativi sul piano della produzione dell’industria pesante (+20%), ma scarsi per la produzione agricola e questo fu un grande problema perché la Cina dell’epoca era un Paese contadino. Per questo Mao annunciò nel 1958 il “grande balzo in avanti”, un programma che doveva favorire la crescita sia del settore agricolo che di quello industriale. Colonna portante di questa iniziativa erano le comuni popolari, comunità che riunivano decine di famiglie di agricoltori: ogni comune doveva puntare all’autosufficienza e condividere ogni aspetto della vita lavorativa e quotidiana (dai pasti all’educazione dei figli). I risultati furono però disastrosi: la produzione agricola crollò e tra il 1959 e il 1960 la Cina fu colpita da una terribile carestia, in cui si stima siano morte oltre venti milioni di persone. In questo momento difficile il leader cinese non poté contare sull’appoggio dell’altro grande Paese comunista, l’Urss.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

In un primo momento l’Unione Sovietica aveva appoggiato la nuova Cina comunista firmando un patto di alleanza e fornendo aiuti sia economici che tecnologici. Ma i rapporti iniziarono a incrinarsi in modo significativo dopo la morte di Stalin nel 1953, quando il suo successore Krusciov avviò un processo di apertura e distensione sul piano economico e diplomatico con l’Occidente che Mao definì senza mezzi termini un tradimento della dottrina comunista. Al di là dei contrasti ideologici e di politica economica, la posta in palio era alta: la Cina ambiva a occupare il ruolo di nazione-guida nel mondo asiatico, dove i regimi comunisti si stavano espandendo, e intendeva porsi a capo di un nuovo sistema di alleanze tra i tanti paesi che stavano raggiungendo l’indipendenza. Di conseguenza i rapporti con l’Urss si fecero sempre più tesi fino ad arrivare a una vera e propria rottura, accentuata dall’annuncio cinese nel 1964 di aver creato una propria bomba atomica. I contrasti con l’Urss e il clamoroso fallimento del “grande balzo in avanti” avevano reso la situazione molto instabile anche sul fronte interno, tanto che agli inizi degli anni Sessanta aumentarono tensioni e divisioni all’interno del Partito comunista. Nel 1966 Mao reagì lanciando la rivoluzione culturale che avrebbe dovuto attaccare ogni forma di privilegio e portare alla rigenerazione sociale, anche contro il partito stesso. Strumento di questa nuova ondata rivoluzionaria furono i giovani, soprattutto studenti, che attaccarono le strutture gerarchiche della società e gli intellettuali che vennero colpiti in molti e umilianti modi. Le Guardie rosse – così si chiamarono queste organizzazioni giovanili comuniste – mantennero vivo l’impulso rivoluzionario, ricorrendo spesso alla violenza, ponendo però in crisi anche le strutture produttive. I quadri del partito e lo stesso esercito furono coinvolti nella lotta politica; Mao, tra il 1968 e il 1969, dovette assumere posizioni più moderate per guidare quella che fu comunque un’accelerazione rivoluzionaria. A quel punto emerse un nuovo pragmatismo e la Cina si avvicinò negli anni Settanta del Novecento agli Stati Uniti, ottenendo aiuti economici e il seggio alle Nazioni Unite che fino a quel momento era stato detenuto dalla Cina nazionalista di Taiwan. Fu in quel momento che la Cina si mise sulla rampa di lancio per diventare la superpotenza che è oggi.

Il Grande Timoniere era oramai agli sgoccioli della sua esistenza, ma aveva già impostato la rotta per i decenni a venire.

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