Il 18 ottobre 2003 moriva una delle voci letterarie più originali del panorama europeo del secondo Novecento: Manuel Vázquez Montalbán.

Fu una morte improvvisa, avvenuta a Bangkok, a migliaia di chilometri da Barcellona, la città che da sempre era stata al centro della vita e della produzione letteraria di Vázquez Montalbán.

Cantore di un barcellonismo totale e popolare, fatto di lavoratori e prostitute, di storia e malavita, di linguaggi tanto nobili quanto feroci, nessuno ha saputo raccontare il capoluogo catalano come il creatore del personaggio di Pepe Carvalho, ex collaboratore della Cia, gastronomo, cuoco, bruciatore di libri per delusione, di professione investigatore privato.

Ma quanto rimane nella nostra epoca 4.0 di quel barcellonismo totale e popolare? È quello che prova ad indagare lo scrittore e giornalista Giuliano Malatesta nel saggio "A Barcellona con Manuel Vázquez Montalbán” (Perrone, 2023,pp. 128), volume inserito in Passaggi di dogana, collana che esplora i luoghi a partire dagli autori che li hanno abitati.

Purtroppo, delle atmosfere e delle ambientazioni in cui si muoveva Pepe Carvalho non è rimasto molto.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Montalbán ha raccontato la sua città cercando di mantenere viva quella memoria storica e politica che qualcuno negli anni ha ingenuamente scambiato per nostalgia della giovinezza e dell’età perduta. E ora che a distanza di tempo la città, assediata dal turismo di massa, non è più quel “paradiso populista” ma si è imborghesita sotto la bandiera dell’autocompiaciuto postmodernismo catalano.

Come scrive il giornalista Gianni Mura nell’introduzione al volume: «Il libro di Malatesta, puntuale e con retrogusto amaro, accompagna in un cuore-pancia di Barcellona che non c’è più, pezzo di una città-fantasma che resta viva sulle pagine ma è stata emarginata dalla realtà. Il Raval è stato sventrato, la sua atmosfera un po’ romanzesca e torbida, un po’ umanamente quotidiana se la ricordano solo i vecchi. Il Barrio Chino, così era più noto agli stranieri, richiamava altri grovigli di strade in altre città di mare: i carrugi di Genova, i Quartieri spagnoli di Napoli. Colore locale: ladri, puttane, magnaccia, coltelli facili, alberghetti a ore. Anche sotto il franchismo il Raval era riuscito a resistere. Ma non era solo questo: era case povere per operai, studenti, era solidarietà e resistenza, operai e studenti uniti, era lotta e complicità. Ora nelle case povere, quelle rimaste, vivono i nuovi poveri, gli immigrati. La modernizzazione ha fatto quello che non era riuscito alla dittatura. Modernizzazione: sembra una bella parola, invece è una spietata ramazza».

Nonostante l’amara consapevolezza del trascorrere del tempo e delle cose Giuliano Malatesta prova a ricomporre, attraverso la sterminata opera dello scrittore spagnolo, qualche frammento della città-fantasma – il clima culturale dell’epoca, la storia del Futbol club Barcelona, i locali  antifranchisti, l’ansia di libertà e di trasgressione dei sessanta, quando Barcellona sembrava molto più vicina a Parigi che non al resto della Spagna – ancora viva sulle pagine ma ormai emarginata dalla realtà. Veniamo così, almeno letterariamente, immersi nel fascino di una città ricca di storia, di arte, di tradizioni. Una città che è il frutto di un passato denso, importante, anche doloroso in certi momenti. Una città che non è solo divertimento, sole, spensieratezza, ma vita reale, gioie e angosce, passato e presente

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