A Coltano, vicino a Pisa, fu istituito un grande campo di concentramento per militi della RSI arresi o catturati nella primavera del 1945: furono circa 34mila, stipati in attesa di giudizio su eventuali responsabilità in eccidi durante la guerra civile 1943-45. Tra loro vi furono alcuni “giovanissimi” destinati a diventare personaggi noti, da Walter Chiari a Raimondo Vianello, Enrico Maria Salerno, i giornalisti Enrico Ameri e Mauro De Mauro per arrivare al futuro ministro Mirko Tremaglia. Erano i vinti della guerra civile, per la maggior parte “ragazzi di Salò”, che dopo l’8 settembre avevano scelto la continuità con i valori del Ventennio, in nome di un malinteso senso della patria e dell’onore.

Uniti dalla stessa scelta iniziale, questi giovani non ebbero lo stesso destino. Alcuni furono travolti nella convulsione della resa dei conti, altri riuscirono a eclissarsi prima del tracollo, altri finirono in luoghi di prigionia come Coltano.

Con un attento lavoro sulle testimonianze autobiografiche e la documentazione scientifica, lo storico Gianni Oliva ripercorre nel suo "Il Purgatorio dei vinti” (Mondadori, 2023, pp. 216, anche e-book) la vicenda dei prigionieri del campo di detenzione pisano, le difficoltà delle condizioni di vita, l’indeterminatezza del loro status giuridico, le ambiguità di una stagione sospesa tra volontà punitiva e bisogno di normalizzazione, i successivi percorsi della memoria.

Il risultato è un affresco suggestivo, nel quale Coltano non si presenta come il campo di prigionia di ex combattenti nostalgici, ma come lo specchio dello smarrimento ideologico e morale lasciato nelle coscienze dal 1943-45.

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A Gianni Oliva chiediamo prima di tutto come è arrivato a interessarsi delle vicende del campo vicino a Pisa:

«La curiosità mi venne anni fa, leggendo di Ezra Pound incarcerato a Coltano in una gabbia di ferro, notizia peraltro errata: Pound fu imprigionato a Metato, vicino a Lucca, in un campo di prigionia istituito dagli americani per i propri soldati rei di insubordinazione. Appena ho avuto tempo ho fatto ricerche specifiche ed è nato il libro».

Nel campo di Coltano sono stati rinchiusi molti prigionieri, famosi e non...in cosa si assomigliavano e in cosa differivano queste migliaia di reduci sconfitti?

«Le vicende personali erano simili: adolescenti o poco più educati nei miti della Gioventù Italiana del Littorio, che percepirono l’8 settembre come tradimento e si schierarono con Salò per difendere l’onore e cercare la ‘bella morte’. Differenti furono i percorsi della memoria: qualcuno ammise senza reticenze come Raimondo Vianello che in una intervista disse ‘non rinnego né Salò né Sanremo’. Era un modo per riconoscere di aver scelto la parte sbagliata della storia ma di averlo fatto in buona fede. Altri, come Dario Fo - che non fu a Coltano, ma militò nel Battaglione Azzurro, i paracadutisti volontari della Rsi – negarono il loro legame con Salò e querelarono chi ricordava questi trascorsi. Salvo essere costretti ad ammissioni imbarazzate di fronte a prove inconfutabili».

Perché si parla così poco del destino degli sconfitti nella guerra del 1943-45?

«Nella nostra cultura repubblicana e antifascista, Salò ha rappresentato il male assoluto. Questa elaborazione è stata la conseguenza della guerra civile e delle sue esasperazioni, ma è stata anche un alibi per dimenticare le colpe pregresse di un’intera generazione. Pensare che i fascisti fossero i ‘repubblichini’ ha permesso di assolvere i tanti che nel Ventennio avevano accumulato onori, prestigio, ricchezze.  Demonizzando gli uni, si è evitato di fare i conti con gli altri, con quelli che avevano avallato l’alleanza con Hitler, le leggi razziali, la guerra del 1940-43».

Cosa ci insegna una vicenda come quella del “Purgatorio dei vinti”?

«Studiare Coltano e i suoi prigionieri non significa certo riabilitarne la scelta, ma storicizzarla. Lo aveva fatto tanti anni fa, nel 1946, un partigiano insospettabile come Italo Calvino, che nel suo “Sentiero dei nidi di ragno” scrisse: “La rabbia che ci fa sparare con speranza di riscatto, è la stessa rabbia che fa sparare i fascisti. E allora dove sta la differenza? Sta nel fatto che noi, nella storia, siamo dalla parte della ragione e loro dalla parte del torto”».

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