Un giudizio negativo – Il nonno di Guglelmo I re di Arborea e terzo visconte di Narbona, partecipando nel 1289 alla battaglia di Campaldino in Toscana, fece una pessima figura.

Ancora di più, la fece il nipote alla battaglia di Sanluri il 30 giugno 1409 guidando scriteriato le truppe arborensi contro i Catalano-Aragonesi del Regno di Sardegna, e perse. Ed è così che, per colpa sua, ci rimettemmo la libertà dallo straniero occupante e la possibilità di fare sarda la Sardegna.

La storia – Morta Eleonora d’Arborea e suo figlio Mariano V, in mancanza di eredi diretti era stato chiamato a Oristano dalla Francia il pronipote di Beatrice, sorella di Eleonora, sposata con Amerigo VI visconte di Narbona, nonna del designato monarca arborense Guglielmo III.

Costui, appena arrivato, fu incoronato re di Arborea, con l’ordinale I, il 13 gennaio del 1409. Subito, con spirito inopportunamente cavalleresco, il neo sovrano sardo si abboccò con l’infante Martino il Giovane, capo dell’esercito dell’intera Corona d’Aragona, nei pressi dello stagno di Cagliari, e gli propose una battaglia in campo aperto per risolvere la contesa, fidando nel fatto che le sue forze erano maggiori di quelle del nemico.

L’errore – Fu una grande sciocchezza, perché, per vincere la guerra contro il Regno catalano-aragonese di Sardegna, bastava non far niente, e lasciare che il tempo, l’inedia e la fame defatigassero l’esercito iberico stipato insofferente a Cagliari, costringendolo a reimbarcarsi per i porti d’origine e lasciare in mano agli Arborea l’intera isola. Invece, non fece così.

La battaglia di Sanluri – La battaglia in linea, fra i due eserciti avvenne la mattina del 30 giugno, di domenica, nella piana immediatamente a sud del castello e del borgo fortificato di Sanluri, dove si trovava Guglielmo I con tutto il suo eterogeneo esercito di diciassettemila fanti sardi, duemila cavalieri francesi e mille balestrieri genovesi.

In località ancora oggi segnata nelle carte I.G.M. come “Su bruncu de sa battalla” (“Il poggio della battaglia”), gli Arborensi furono investiti al centro dagli ottomila fanti e tremila cavalieri siciliani, aragonesi, valenzani e balearini, meglio attrezzati ed addestrati, e si divisero in due tronconi: la parte sinistra si ritirò, incalzata, fino al rio Mannu, e fu sopraffatta nel luogo che porta il lugubre nome de “Su occidroxiu” (“Il macello”); la parte destra si divise a sua volta in due resti: il primo, scappò a Sanluri ma fu raggiunto e fatto a pezzi; il secondo, col re giudicale in persona, si rifugiò nel vicino castello di Monreale che fortunatamente resistette.

Quattro giorni dopo, il 4 luglio, seguì la resa, nelle mani di Giovanni de Sena, della mal difesa e poco presidiata Villa di Chiesa (Iglesias).

Fu una vera disfatta per i Sardi giudicali: l’inizio della fine, sebbene di lì a poco, il 25 luglio, morisse di malaria a Castel di Cagliari Martino il Giovane creando un comprensibile scompiglio fra l’esercito iberico in Sardegna e in tutta la Corona d’Aragona che rimaneva senza eredi diretti per la successione al trono.

La fine del Regno di Arborea – Nello stesso mese di luglio 1409 Guglielmo I passò in Francia a cercare inutilmente aiuti. A Oristano rimase, come suo luogotenente o “giudice di fatto”, Leonardo Cubello che venne a patti col nemico, firmando il 29 marzo 1410, nel monastero di San Martino fuori le mura, un documento di capitolazione della città e di quasi tutta l’Arborea storica la quale veniva incamerata nel Regno di Sardegna

Trascorsero dieci anni di inconcludenti scontri e contrasti. Ma, visti inutili tutti gli sforzi per difendere uno Stato ormai in profonda decadenza ed avviato verso un’ineluttabile fine, il re giudicale entrò in trattative col nuovo sovrano della Corona d’Aragona Alfonso II (o V) il Magnanimo per la vendita delle proprie prerogative sovrane sull’Arborea.

L’accordo fu raggiunto ad Alghero con Alfonso il Magnanimo in persona il 17 agosto 1420. Al prezzo di 100.000 fiorini d’oro finì, dopo oltre mezzo millennio di vita, il glorioso Regno indigeno giudicale, ed il sogno antico di una Nazione tutta sarda.

Francesco Cesare Casula

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