#Dialogo con gli scrittori: Guia Risari e i temi esistenziali narrati ai ragazzi
Finalista al premio Strega Ragazze e Ragazzi 2017, Il Viaggio di Lea (Einaudi Ragazzi, 2017, Euro 14,00, pp. 221) è un libro di Guia Risari che non ha paura di affrontare i grandi temi dell’esistenza umana pur rimanendo nell’ambito della narrativa per i più giovani.
La protagonista è Lea, un’orfana di dodici anni che vive col nonno e con Porfirio, un gatto parlante. Una notte Lea parte con Porfirio. Obbiettivo: scoprire il senso della vita e trovare una risposta alle grandi domande, quelle che un po' tutti ci poniamo: "Perché si vive? Perché si muore? Che senso ha il dolore?".
È l’inizio di un percorso di scoperta e di conoscenza di se stessi e del mondo, un percorso fatto di incontri e di situazioni di ogni tipo fino ad imbattersi nella Morte.
Un viaggio complesso quello di Lea, attraverso tematiche non semplici e spesso ritenute non adatte a un pubblico più giovane, un pubblico al quale si offre più facilmente spensieratezza.
Ma veramente questi grandi temi sono troppo ostici per un pubblico giovanile?
"La vita, la crescita, l'incontro, la paura, la diversità, le scelte di vita, la morte non sono temi ostici per i ragazzi. Le esperienze di scrittura e d'incontro con bambini, ragazzi e adulti mi hanno confermato che ci sono meno reticenze ad affrontare nodi cruciali dell’esistenza, là dove le barriere e i pregiudizi sono minori. Quindi Il viaggio di Lea risulta una lettura naturale per i ragazzi, e - paradossalmente - più complessa per gli adulti che si proteggono dalle domande o non se le fanno più".
Secondo lei nella nostra società si parla abbastanza di questi temi con i ragazzi?
"Di questi temi si parla spesso solo come di un problema - collettivo o individuale - e in questo senso diventa un terreno scomodo, impossibile da trattare, proibito. La diversità, la sofferenza, la curiosità diventano perciò una colpa, un tabù. E non c'è niente di peggio del famigerato 'indicibile' per trasformare i momenti bui della vita in problemi insormontabili. Sono convinta, invece, che più si parla apertamente di difficoltà, dubbi, impedimenti, ferite, più si sfatano i tabù e si regala un pezzo di libertà. Soprattutto se lo si fa con poesia, umorismo, coraggio e spirito. È questo che tento di trasmettere con Il viaggio di Lea e con altri libri che ho scritto. La ricerca del senso e della libertà sono un punto di partenza; la lettura stimola riflessioni e curiosità che vanno poi coltivate da sé, insieme agli altri".
In che modo si può parlare della morte con i giovani e perché bisogna parlarne?
"Si può parlare non solo della morte, ma di tutto come qualcosa che può accadere, di una possibilità. La fine della vita è, tra l'altro, una realtà a cui non si sfugge. Per cui si deve menzionarla, insieme a tutte le alternative possibili per vivere pienamente. Una cosa che spero di aver fatto nel mio romanzo e in tutto quel che ho scritto, senza traumatizzare nessuno con crudezza. Al contrario, riuscendo a far ridere, sognare, riflettere. Morire si muore tutti; vivere, si può e si deve scegliere come farlo".
Che senso ha la fine del libro? È l'inizio di una nuova storia?
"È importantissimo che la protagonista Lea completi il suo viaggio, incontri tante persone e poi, infine, la morte. Ma era ancora più importante, per me, che Lea, che rappresenta la vita che lotta contro il dolore e accetta di viaggiare per rispondere alle sue domande, incontrasse la nipote della morte: Ipa. In questo modo, Lea torna a casa con un bagaglio enorme di esperienza, e può fare da accompagnatrice a Ipa nel mondo dei vivi. La fine insomma è il trionfo della vita non sulla morte, con la morte".
Una curiosità finale: perché proprio un gatto accompagna la protagonista nel suo viaggio?
"Il gatto in questo romanzo è parlante, onnisciente, legato alle tante vite feline che possiede e anche alla morte, che conosce benissimo. E' l'animale-guida per antonomasia, una sorta di accompagnatore cinico e disincantato che aiuta la protagonista a non perdersi nel suo viaggio. Gli ho attribuito un atteggiamento distaccato e sardonico e una voce che, il più delle volte, è udibile solo per la protagonista. Ho scelto il gatto perché è uno degli animali più antichi, un tempo venerati e poi - per la loro capacità di cavarsela in ogni situazione - caricati di pregiudizi e perseguitati. Qui il gatto, per quanto saccente, piccato e scortese, è riabilitato".
Roberto Roveda