Marco Tullio Cicerone, più di duemila anni fa, scriveva che una casa senza libri è come un corpo senza anima e una stanza senza finestre. Sant’Ignazio di Loyola la paragonava a una fortezza senza armi: facile da espugnare perché indifesa. Lette queste massime viene allora da chiedersi se alcuni dei problemi che affliggono da tempo immemorabile il nostro Paese – così come una certa apatia di noi italiani nell’affrontarli - non siano anche il frutto di una certa propensione a scansare la lettura, anzi la fatica del leggere. L’Italia, infatti, non è certo un Paese di lettori.

Lo certificano i dati dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che parlano di un 69% di italiani che ha una competenza nella lettura al di sotto del livello minimo per comprendere un semplice testo. Questo pessimo risultato è legato certamente alle dinamiche della comunicazione moderna, che impone codici comunicativi immediati e brevi. Però c’è qualcosa di più come ben individuato dal critico Piero Dorfles nel suo recente “Il lavoro del lettore” (Bompiani, 2021, pp. 252, anche e-book). È diffusa, infatti, la tendenza a sottolineare in maniera retorica ed enfatica i piaceri della lettura, mentre non si insegna però, soprattutto ai più giovani, che leggere è una fatica. Richiede sforzo, ha bisogno di tempo, solitudine, applicazione. Richiede costante allenamento per non perdere la pratica.

Diventa allora ancora più complicato far capire che questa fatica poi verrà ricompensata dall’incontro con il mondo straordinario che la letteratura mette a disposizione dei lettori. L’obiettivo è troppo lontano per dei neofiti della pagina scritta, troppo nebuloso. Forse si è abusato eccessivamente dell’espressione “leggere è un piacere” e ci si è dimenticati di dire che leggere come prima cosa è utile.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Come racconta Dorfles in apertura del suo libro poiché nella vita quotidiana chi non legge libri sembra cavarsela benissimo, verrebbe da pensare che l’incapacità di leggere abbia poco a che fare con la capacità di essere bravi cittadini, lavoratori competenti, persone rispettose ed empatiche. La realtà, però, è che chi non legge difficilmente troverà altrove quello che chi legge trova nei libri. Nei libri c’è la storia dell’uomo, con le sue conquiste e i suoi fallimenti; ci siamo noi, con i nostri sentimenti, sogni, azioni; c’è quell’esperienza simbolica che ci spinge a sviluppare ingegno, fantasia e immaginazione. I libri, spiega bene Dorfles, sono una delle risorse più straordinarie per salvarci dalle prove della vita: chi sa leggere lo fa anche di fronte alle ansie più drammatiche, alle angosce più profonde, ai dolori più esacerbanti.

Andando anche sul pratico e sempre riferendoci alle nuove generazioni - quelle che sembrano le meno portate alla lettura tradizionale - i ragazzi si troveranno, infatti, in mille situazioni in cui dovranno servirsi delle parole e ancora di più in cui dovranno capire un testo che hanno di fronte. Magari semplicemente per un bando di concorso. E se le parole li metteranno in difficoltà, subiranno le parole degli altri. Non riusciranno quindi a difendersi, a dire la loro, a farsi valere. Il primo passo deve essere questo: recuperare la ragione pratica della lettura e la spinta a tenersi in allenamento leggendo tutto e di tutto. Lettori e anche cittadini si diventa così, non rifuggendo la fatica e non cercando scorciatoie.

Piero Dorfles ci offre anche alcuni suggerimenti nel nostro percorso di lettori.  Illumina le prospettive che la letteratura può aprirci raccogliendo alcune opere classiche raggruppate per grandi temi: quelli fondamentali dell’esperienza umana. Troviamo così nel libro descritti romanzi che affrontano il tema centrale dell’inettitudine dell’uomo moderno, come le opere di Italo Svevo e il Don Chisciotte di Cervantes. E ancora quelle opere che meglio di qualsiasi saggio sanno raccontarci il fascino tragico della guerra come "Un anno sull’altopiano” di Lussu oppure “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern.

Troviamo poi, ne “Il lavoro del lettore”, i giudizi sulle opere citate, perla rara in un’epoca in cui non si critica più nessuno. Nessuna stroncatura, però prese di posizioni, ben argomentate con cui Dorfles ci aiuta a riflettere – ma è solo un esempio - sul perché libri che Dorfles definisce con bella sintesi ereditata dal romanzo “Arancia meccanica” “mielestrazio” (dolciastri fino al punto di diventare un vero e proprio strazio), come “Il Piccolo principe” oppure “Piccole donne”, siano comunque dei capolavori e abbiano milioni di fan nel mondo.

Insomma, “Il lavoro del lettore” è una ricognizione interessante e personalissima sull’universo del leggere, una piccola e ben fornita biblioteca che ci aiuta capire, come scrive l’autore in chiusura, che “i libri, la lettura non portano certezze, ma dubbi. Non felicità, ma conoscenza. Non spiegano il perché della vita, ma stimolano a porre domande e a essere consapevoli di sé. Non possono superare la difficoltà di trovare un senso al nostro essere, ma ci permettono di allontanare il rischio di perderci nel nulla e ci impongono di mettere al centro di tutto la vita. Di chiederci perché, appunto, siamo, oggi, qui. Ecco perché il lavoro del lettore è il più bello che esista”.

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