Nei tempi antichi uno dei privilegi delle classi ricche e aristocratiche era quello di avere del tempo da dedicare all’ozio, un dolce far nulla libero e spensierato che doveva condurre gli individui alla riflessione, alla contemplazione o anche al semplice rilassamento. Era ozio, per esempio, ciò che conduceva il letterato alla composizione di poemi e poesia. Insomma, oziare – non certamente all’osteria a giocare a dadi, ben inteso! – era attività alta, ricercata, che distingueva il ricco dal povero, l’uomo libero dallo schiavo.

Oggi, viceversa, oziare è attività da lazzaroni, da perditempo e l’ozio è diventato sinonimo di pigrizia. Niente di cui stupirci: viviamo nel tempo della performance, della produttività. Un tempo in cui ogni cosa deve poter essere misurata, conteggiata – “Quanti like oggi?” “Quanti post?” – e, possibilmente, monetizzata. Karma del vivere odierno è che la nostra attenzione sia sempre attirata o focalizzata su qualcosa e mai libera di vagare, di rilassarsi e magari riappropriarsi dei propri spazi.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Se viceversa avete voglia di sfuggire - almeno in qualche occasione e in qualche momento della vostra settimana - al mito pervasivo che solo ciò che è utile ha ragion d’essere eccovi “Come non fare niente” (Hoepli, 2021, pp. 248, anche e-book) saggio ironico e provocatorio della scrittrice americana Jenny Odell.

Punto di partenza del libro è appunto la constatazione di come oramai la cosa più difficile da fare sia, appunto, non fare nulla. C’è sempre almeno una notifica dello smartphone che ci impone di metterci in azione. Il risultato è che ci sentiamo spesso stressati, continuamente sballottati da un impegno all’altro e, cosa peggiore, ci assalgono pure i sensi di colpa quando ci scopriamo felici, su un divano, a girare i pollici oppure su una panchina a osservare semplicemente il disegno dei rami e il colore delle foglie.

Ebbene Jenny Odell ci propone alcune riflessioni che possono aiutarci a cambiare la nostra prospettiva su cosa sia veramente utile e cosa sia inutile. Odell, prima di tutto, considera la nostra attenzione la risorsa più preziosa – e più sfruttata – che possediamo. Dobbiamo quindi continuamente (e attivamente) scegliere come utilizzarla senza cadere nelle trappole del mainstream e senza precipitare nell’eccesso opposto, quello della vita da eremiti oppure da asceti antitecnologici. Oziare, quindi, diventa un’azione quasi politica che riporta l’essere umano al centro del mondo e gli consente di resistere ai continui stimoli a fare, comprare e consumare che gli arrivano dall’esterno. Riscoprire il dolce far niente diventa una importante battaglia di riappropriazione di noi stessi e di attenzione per le cose veramente importanti: le relazioni, l’ambiente, la qualità della vita, il bello. E a proposito di bellezza, vista la fatica con cui l’arte sopravvive in un sistema che valuta solo il risultato finale la posta in gioco oggi è soprattutto culturale. Corriamo, infatti, il rischio che si realizzi la profezia fatta un secolo fa circa dal pittore surrealista Giorgio de Chirico, quando prevedeva orizzonti limitati per attività improduttive come l'osservazione. Scriveva allora de Chirico: “Dato l’orientamento sempre più materialista e pragmatico della nostra civilizzazione lo scrittore, il pensatore, il sognatore, il poeta, il metafisico, l’osservatore, l’indovino, il vaticinatore, lo scrutatore, il deduttore, l’interrogatore di enigmi, il valorizzatore, il veggente, il cacciatore di canti nuovi, il selezionatore di quadri di primissimo ordine, ecc., ecc., diventeranno personaggi anacronistici, destinati a sparire dalla superficie del globo…”. Ma senza tutte queste figure, tutti questi personaggi, cosa rimarrà del mondo? Solo qualche bit e qualche logaritmo impegnati a fare qualcosa di molto utile, ma anche molto poco umano.

A meno di non riscoprire il dolce far niente…

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