16 Marzo 1978: il rapimento Moro e i 55 giorni che tennero l'Italia col fiato sospeso
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Lo Stato sotto ricatto
"È una giornata che rimarrà scolpita nella storia del nostro Paese. Un giovedì di sangue, di terrore, di angoscia crescente che ha portato al suo stato più acuto la crisi italiana, dopo anni di stragi e attentati. Aldo Moro, uno statista rispettato in tutto il mondo politico rapito dalle Brigate Rosse: e già si teme per la sua vita...".
Si apriva così la prima pagina de L'Unione Sarda all'indomani del rapimento del leader democristiano, costato la vita ai cinque agenti di scorta Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e conclusosi un mese più tardi con il ritrovamento di Aldo Moro nel bagagliaio di una macchina parcheggiata in via Caetani, simbolicamente poco distante dalla sede della sede della Democrazia Cristiana.
Dopo piazza Fontana, la strage dell'Italicus e una lunga scia di sangue che tocca tutto il Paese, il terrorismo arriva dritto al cuore dello Stato e colpisce uno dei suoi simboli più alti, lo statista per cinque volte presidente del Consiglio e a più riprese ministro della Repubblica, il padre costituente, il leader di partito che cercò di mediare tra le varie anime e correnti, e infine l'uomo della "concordia" e dell'apertura a sinistra, convinto che in politica moderazione a audacia potessero andare in qualche modo a braccetto.
I professionisti del terrore
Mancano pochi minuti alle nove del mattino quando le due auto di scorta raggiungono l'abitazione dell'onorevole democristiano al quartiere Trionfale per portarlo a Montecitorio, dove di lì a poco si voterà la fiducia a un nuovo Governo Andreotti, dopo lunghe trattative - curate proprio da Aldo Moro - per assicurarsi la fiducia del partito Comunista di Enrico Berlinguer.
La corsa del convoglio terminerà nel sangue in via Fani, dove un commando di terroristi delle Brigate Rosse camuffato da ufficiali dell'areonautica apre immediatamente il fuoco e in pochi minuti lascia sull'asfalto i cadaveri dei cinque agenti portandosi via il politico leccese. Ecco la cronaca dei quei minuti concitati dalle pagine de L'Unione: "Su entrambi i marciapiedi quattro brigatisti, o forse più, con indosso divise dell'aeronautica militare. Tutti sono armati di mitra e pistole Nagant. Ognuno sa quello che deve fare. Due aprono il fuoco contro gli agenti che sono insieme a Moro... Quattro di loro purtroppo non riescono nemmeno a tirare fuori le loro armi. Sono morti all'istante".
La notizia passa dai commissariati di zona al ministero dell'Interno e al suo titolare Francesco Cossiga, e poi nei corridoi di Montecitorio e al Quirinale, dove stanno giurando ministri e sottosegretari dell'esecutivo Andreotti. Poco dopo le dieci gli italiani ascolteranno la voce di Bruno Vespa leggere il comunicato dell'Ansa con cui le Brigate Rosse rivendicano l'attentato e il rapimento di Aldo Moro.
Bruno Vespa annuncia in Rai la notizia
L'articolo di Vittorino Fiori, prima firma de L'Unione Sarda
La reazione del Paese
Dopo lo smarrimento iniziale, tra chi invoca l'intervento militare e chi il coprifuoco, il mondo politico fa quadrato attorno al neonato IV Governo Andreotti votando una fiducia lampo, mentre al presidente della Repubblica Leone arrivano i messaggi di sostegno delle principali cancellerie internazionali. Il Paese incredulo si riversa nelle piazze, chiamato a raccolta da uno sciopero nazionale indetto all'improvviso dalle sigle sindacali, paventando la guerra civile e misure eccezionali contro la sinistra eversiva, o sperando in una linea di moderazione e compattezza del Governo.
Anche l'Isola è scossa dalla notizia, centinaia di manifestazioni spontanee, scioperi e discorsi pubblici hanno luogo nei grandi e piccoli centri, mentre i redattori de L'Unione raccolgono opinioni davanti ai cancelli delle fabbriche del Sulcis, a Macchiareddu nello stabilimento della Rumianca e per le strade di Cagliari: "La gente, dopo questo fatto, vuole provvedimenti duri. Pena di morte, senza guardare al rosso o al nero. Nessuno si sente più sicuro", dice un edicolante del capoluogo. Ma la Sardegna, come il resto d'Italia, è la cartina tornasole del malcontento, contro una classe politica immobile da tempo e lontana dalle urgenze della gente, come testimonia la dichiarazione a caldo di un disoccupato cagliaritano: "Il dolore, il rammarico è tutto per quelle povere guardie. Quanto a Moro, ci ha preso in giro per trent'anni: che cosa si aspettava?".
Moro, simbolo dei poteri forti o capro espiatorio?
I successivi 55 giorni di angoscia nazionale scorrono tra ricerche del covo in cui è tenuto prigioniero il politico, depistaggi e interventi dei servizi segreti, contatti tra politica e terroristi, e strazianti lettere di Moro ai familiari, per giungere al tragico epilogo del 9 maggio, quando una telefonata a un assistente di Moro indica il luogo in cui si trova la tristemente famosa Renault rossa dentro cui giace il cadavere del politico democristiano.
Quel corpo crivellato di colpi e avvolto in una coperta rossa diventerà l'emblema di un tormentato periodo storico e segnerà uno spartiacque nella storia della Repubblica, mentre sostenitori e detrattori dello statista analizzano la sua parabola politica e subiscono un duro schiaffo dalla famiglia Moro, che rispettando le ultime volontà del politico rifiuta i funerali di Stato e si chiude in un silenzio polemico.
Seguiranno tanti ritratti del politico, ci sarà una stampa pronta al solito "santino" e una più coerente capace di distinguere tra la pietà per l'uomo e l'onestà di giudizio sul suo operato politico.
Nel profilo tracciato sulle pagine de L’Unione si ripercorrerà la sua storia politica, dai vertici della Federazione Universitaria Cattolica alle file della Costituente, e poi la scalata all'interno della DC, gli incarichi ministeriali e quelli da Premier, la passione mai abbandonata per l'insegnamento e una proverbiale riservatezza, la fede nel partito - nonostante i veleni e le guerre interne - e l'invenzione del centrosinistra, prima con i socialisti di Nenni e poi, almeno nelle intenzioni, con i comunisti di Berlinguer, forti di uno storico 34% ottenuto alle politiche del ’76."Coraggio e prudenza. Sono le caratteristiche peculiari di quello che oggi viene definito il cervello della DC: Aldo Moro" - si legge su L'Unione - "Amici e nemici gli riconoscono due grandi doti rispetto ad altri leader: non ha la rigidezza di De Gasperi, né l'irruenza di Fanfani. È puntualmente riuscito a ponderare con cura quelle scelte che poi sono diventate la rotta della barca democristiana".
Barbara Miccolupi
(Unioneonline)