“Ohi su moro!”, recita l’esordio di molti muttos in Sardegna. E poi ci sono i proverbi, come “Furat chie venit da-e su mare”. Testimonianza antiche, che ricordano uno dei peggiori spauracchi con cui ebbe a che fare la popolazione dell’Isola nei secoli passati. Ovvero: le incursioni dei pirati, arabi e barbareschi, protagoniste di numerose storie, leggende e tradizioni

Le prime razzie risalgono agli anni 704-705, quando sulle coste dell’Isola approdarono in cerca di bottino le navi di Ata-ibn-Rafi, provenienti dall’Egitto. 

L’incursione riguardò la costa del Sulcis e in particolare l’isola di Sylsila (l’odierna Sant’Antioco), dove vennero predati oro, argento e anche schiavi. Ma Ata e molti dei suoi corsari non tornarono in patria per consegnare al governatore egiziano il loro bottino. Una furiosa tempesta sorprese infatti i predoni, facendoli naufragare.

Nei secoli, come detto, numerosi furono gli assalti dal mare contro la Sardegna. 

Il più tragico è forse quello avvenuto la notte del 2 settembre 1798, quando una flotta di navi corsare approdò a Carloforte, mettendo a ferro e fuoco case e fattorie, razziando ogni bene, per poi ripartire con oltre 800 schiavi, tra cui molte donne e molti bambini

Pochi furono i sopravvissuti. Tra loro, ricorda la tradizione, un tale di nome Gavaccin, che cercò scampo in campagna. Il racconto popolare vuole che mentre fuggiva si impigliò in una siepe. E allora, sentendosi perduto, iniziò a gridare: “Sciù Turcu, me rendu!”. Poi, però, dopo aver compreso di non essere finito nelle grinfie dei corsari, si liberò e riprese a scappare, sentenziando: “Ma nu me renderia se venisse tutta Barberia”.

(Unioneonline/l.f.)

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