Panas, le madri perdute che lavano il dolore
Sono le anime inquiete delle donne morte di parto che vagano vestite di bianco, ma con abiti macchiati di sanguePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Non chiedono vendetta, ma silenzio. Tra le pieghe più oscure di racconti popolari di una Sardegna arcaica si aggirano ancora oggi figure che non urlano, ma lavano.
E lo fanno in silenzio, ogni notte: sono le Panas, le anime inquiete delle donne morte di parto, costrette a tornare tra i vivi per sciacquare nei fiumi i panni insanguinati del loro bambino. Spiriti laceri, condannati non all’inferno, ma a una ripetizione estenuante: lavare, cantare, non essere viste. O, peggio, essere viste e interrotte.
Forse non esiste nessun’altra figura nel vasto e visionario bestiario mitologico sardo che suscita una miscela così intensa di timore e pietà come quella delle Panas. Non sono streghe né demoni: sono madri. E la loro pena nasce da ciò che la vita ha loro tolto nel momento stesso in cui stavano per donarla. Secondo la leggenda, vagano vestite di bianco, ma con abiti macchiati di sangue. Lavano con mani sottili, usando per bastone lo stinco di uno scheletro umano, e cantano ninna nanne tristi che sembrano lamenti. Ma non invocano mai aiuto, perché la loro pena – si dice – può essere solo scontata, non interrotta.
L’etimologia stessa della parola “pana” affonda nelle radici sciamaniche dell’Eurasia: dal manciutunguso, significa anima-ombra.
E in effetti queste creature sono proprio questo: l’ombra di ciò che poteva essere. L’anima spezzata di una maternità incompiuta. Per placarne il tormento, i familiari della defunta lavavano per sette anni un camicino da neonato, sperando che il gesto rituale evitasse la condanna dell’anima a un vagare eterno. Ma se il lavaggio notturno veniva interrotto – anche solo da uno sguardo, da una parola, da un incontro fortuito – il ciclo si spezzava e ricominciava daccapo. Altri sette anni. Un’altra vita tra i vivi, senza appartenenza, senza pace. Alcuni credevano che inserire nella bara ago, filo, un ciuffo di capelli del marito e una striscia di tela aiutasse la defunta a completare, nell’aldilà, il compito interrotto.
Le Panas suscitavano compassione: in loro c’era il dolore senza colpa, la maternità spezzata, la pena senza redenzione. E per questo – nei racconti popolari -, più che evitarle, si tendeva a rispettarle senza però rivolgere loro la parola e senza fissarle.