S’Ardia di San Costantino, la corsa dei cavalieri sardi
Inizia tutto davanti alla casa parrocchiale di Sedilo con la consegna de Sas pandelas e de Sas iscortasPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ogni anno, da secoli ormai, tra il tramonto del 6 luglio e le prime luci dell’alba del giorno seguente, Sedilo si trasforma. Le strade diventano luoghi sacri, i cavalli messaggeri di un rito antico e il frastuono della folla è solo il battito accelerato di un cuore collettivo.
Tutto per la rievocazione storica de S’Ardia di San Costantino: un’esplosione di fede, coraggio, identità. È Sardegna allo stato puro, dove il tempo si piega all’arcaico e il presente corre, sfrenato, verso il passato.
Inizia tutto davanti alla casa parrocchiale, con la consegna de Sas pandelas e de Sas iscortas, i vessilli e le loro scorte: simboli che rappresentano incarichi di fiducia, legami familiari, prove di abilità.
Sa pandela madzore, il capocorsa, ha il compito di scegliere i cavalieri che lo accompagneranno.
Accompagnato dal sindaco e dal parroco, entrambi a cavallo, il corteo attraversa il paese. Le fucilate a salve dei fucilieri segnano i passaggi più importanti, mentre l’intero paese trattiene il fiato.
Il primo snodo è Su fronte mannu, un incrocio che guarda il santuario da lontano, dove una croce di pietra e una statua del Santo scrutano il corteo. Poi inizia la discesa verso Su frontigheddu, la collina che segna il limite fra cerimonia e caos. Qui il rito si carica di tensione, i corpi si irrigidiscono, i cavalli fremono.
Quando parroco e sindaco scendono verso la chiesa, qualcosa cambia. I cavalieri iniziano a forzare l’assetto, cercano un varco tra le scorte. Ma solo Sa pandela madzore può decidere quando cominciare.
E quando parte, lo fa all’improvviso. Il rombo delle zampe sul terreno, la corsa cieca verso l’arco di Costantino, la curva stretta che può diventare trappola. È un attimo: o si passa, o si cade.
Dopo l’arco, la salita conduce alla chiesa. Lì si prega, ma solo per un battito, perché subito iniziano i giri attorno all’edificio: fino a sette, o anche meno, se il capocorsa decide di sorprendere tutti e lanciarsi verso Sa muredda, il recinto di pietra con la croce al centro.
Ancora giri, ancora preghiere, poi si ripercorre il cammino a ritroso, fino a chiudere il cerchio. L’Ardia si ripeterà all’alba, come un’eco nel tempo.
Ma cosa si celebra davvero? Per alcuni è un omaggio all’imperatore Costantino, alla sua vittoria sul ponte Milvio e all’editto del 313 d.C., che garantì la libertà religiosa ai cristiani.
Per altri, l’origine è più oscura, antica di secoli: un rito precristiano, forse nuragico, cristianizzato col tempo, ma ancora vivo nella sua energia primordiale.
Il santuario, costruito nel 1789, custodisce una navata centrale, ex-voto a perdita d’occhio e un’atmosfera che sa di promessa mantenuta. Su forte, il terrapieno antistante, accoglie devoti e spettatori, mentre alle sue spalle Sos muristenes offrono rifugio ai pellegrini, come quelli che arrivano a piedi da Bono la notte del 4 luglio.
Tutto intorno, la festa esplode: loggiati come Sas lozzas, portoni come Su portale ’e linna e Su portale ’e ferru, bancarelle che vendono dolci, poesia sarda, giochi e artigianato.
Il profumo di carne arrosto si mescola alle note dei balli tradizionali. Anche l’acqua che sgorga dalla fontana del santuario — alimentata da un antico pozzo sotterraneo — sembra sapere che in questi giorni non è semplice acqua.