Su Coccu, l’amuleto magico della Sardegna
Una storia da indossare, una preghiera muta contro il male, un simbolo d’amore che attraversa il tempoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
C’è un piccolo amuleto che custodisce secoli di fede popolare, artigianato sapiente e un misterioso potere silenzioso.
Lo chiamano Su Coccu, ma anche Sa Sabègia, Su Pinnadellu o Su Pinnazzellu. È un minuscolo talismano sardo, eppure sembra contenere dentro di sé un mondo intero: l’invisibile, il sacro, il profano, la paura e il desiderio di protezione.
Una sfera nera, lucida, raccolta tra due ali d’argento: semplice all’apparenza, ma carica di storie, simboli, gesti tramandati e scongiuri sussurrati in limba.
Nato in una terra che è sempre stata crocevia di civiltà – dove il cristiano si fonde con il pagano e la festa popolare con la liturgia antica – Su Coccu non è solo un semplice gioiello, ma uno scudo spirituale, retaggio della civiltà nuragica e specchio fedele di un’identità che resiste, pur trasformandosi.
Nella sua forma più tradizionale, Su Coccu è composto da una pietra nera – onice o ossidiana, dura e compatta – incastonata in un involucro d’argento.
La pietra, rigorosamente rotonda, richiama la forma di un occhio buono: un occhio che guarda, che respinge, che vigila. Secondo le credenze popolari, è proprio questo sguardo simbolico che protegge da sa pigara de ogu – il malocchio – e da tutte le energie oscure che si annidano nell’invidia e nella maldicenza.
Il colore nero non è casuale: è il colore dell’assorbimento, della purificazione, della resistenza. E l’argento – metallo lunare, associato alla luce – amplifica la funzione protettiva della pietra. Insieme formano una barriera invisibile, ma potente.
Ma c’è di più. Se Su Coccu si rompe, è segno che ha compiuto il suo dovere: ha raccolto su di sé il male indirizzato al suo portatore, e si è sacrificato per lui. Frammentarsi, perdere lucidità, sparire: sono tutti segnali che l’amuleto ha assorbito un colpo oscuro, proteggendo chi lo indossa. È un gesto silenzioso di devozione, un atto di resistenza invisibile.
Tradizionalmente, Su Coccu si regala ai neonati: veniva nascosto tra le pieghe delle coperte, nelle culle, o legato con un nastro verde al polso dei bambini. Ma anche le giovani spose ne ricevevano uno, spesso adornato con corallo rosso – simbolo dell’amore duraturo – o agata bianca, emblema di purezza. In ogni fase della vita, Su Coccu diventa un segno d’affetto, di protezione, di augurio: un linguaggio non verbale che racconta un legame, una speranza, una benedizione.
Per essere davvero attivo, però, Su Coccu ha bisogno della parola. Non quella comune, ma quella dei rituali: i Brebus, le preghiere e gli scongiuri in sardo che attivano l’amuleto, lo caricano di energia protettiva, lo rendono vigile e potente. È in questo momento che l’oggetto si trasforma: da semplice gioiello a presenza viva.
Simili amuleti esistono anche altrove: il nazar turco, con il suo occhio blu o la mano di Fatima delle culture islamiche e mediterranee. Eppure, Su Coccu ha un’intimità tutta sarda. È un oggetto domestico, familiare, che si tramanda di madre in figlia, di nonna in nipote. È parte del corredo, del vestito, della vita. Si nasconde tra le pieghe di una camicia o si mostra con orgoglio in una collana. Ha un’eleganza essenziale, senza tempo.
Oggi, grazie al lavoro degli artigiani sardi, Su Coccu vive una nuova stagione. Accanto alle versioni classiche in ossidiana e argento, compaiono reinterpretazioni contemporanee: in corallo, in agata, in pasta vitrea colorata; con montature in oro, o in materiali moderni come il marmo e l’ambra.