"In un momento come questo, tutti devono portare il loro granellino d'aiuto". E Marco Scorcu, da 28 anni responsabile sanitario del Cagliari Calcio, non resta certo fermo nella lotta al Coronavirus. «Da dipendente dell'Ats e da medico sportivo sto lavorando a un progetto promosso proprio dall'Ats, in collaborazione con il Servizio promozione della salute tramite la Medicina dello sport e la struttura di Cardiologia e diabetologia del Santissima Trinità. Con "Pro...Muoviamoci in casa" promuoviamo l'attività fisica per soggetti con malattie croniche, coinvolgendo tutto il sud Sardegna, col Binaghi, il Sirai di Carbonia e l'ospedale di San Gavino».

La Federazione medici sportivi, di cui lei è consigliere nazionale, ha dettato regole precise per gli atleti.

«Le attività professionistiche saranno le prime a ripartire. Il presidente della Federazione Casasco ha creato una commissione tecnico-scientifica di altissimo profilo, per dare degli indirizzi necessari a tutelare la salute degli sportivi, ma anche quella di coloro che vivono a contatto con gli atleti».

Come sarà la ripresa?

«Si dovranno adottare delle procedure che tutelino la salute dei calciatori. Sarà mantenuto il distanziamento sociale e tutti i calciatori saranno sottoposti a tamponi nasali e test sierologici. Senza tamponi non si riprende. Ma la priorità ora va ai pazienti, ai loro contatti e al personale sanitario».

A proposito di tamponi, ci sono state polemiche per presunti favoritismi fatti ai calciatori professionisti.

«Erano calciatori sintomatici e necessitavano di tampone. La procedura non lascia spazio a iniziative personali. Ci sono state segnalazioni dei medici per sintomi importanti. Nessuna squadra ha fatto tamponi a tappeto».

Ripensa a quei giorni passati dal Cagliari in ritiro a Coccaglio e poi a Verona, in piena zona rossa, al sorgere della pandemia?

«Più volte. Nessuno avrebbe potuto immaginare uno scenario così drammatico. Non sappiamo se ci possa esser stato contatto con qualche portatore o qualche asintomatico. Di certo, nessuno ha sviluppato la sintomatologia. Ma resta il coinvolgimento emotivo per i colleghi che hanno lavorato in quelle zone».

L'8 e il 9 marzo si è giocato e i calciatori positivi sono usciti proprio da quelle partite: c'è un nesso?

«No, ma quello era il fine settimana in cui c'è stata una crescita esponenziale del contagio. Fa pensare. Viaggi, trasferimenti, il ritiro: tutte situazioni ad altissimo rischio».

Come state lavorando con i giocatori?

«Prima di sospendere l'attività, si è proceduto con uno smart training a casa, attività coordinata dallo staff tecnico. Noi abbiamo interagito con i giocatori per ogni problematica, intervenendo a distanza».

I giocatori hanno paura?

«Oggi non c'è una persona che non abbia paura. Ed è giusto temere qualcosa che non si vede. Come è giusto che i ragazzi e i loro familiari ci pongano domande sui comportamenti da tenere. Siamo i loro medici».

Anche il Cagliari si è mosso con una serie di iniziative.

«La Fondazione Giulini ha fatto una donazione importante all'Ats. E dalla regione cinese di Xiapu, dove il Cagliari era stato ospite con il dg Passetti, Conti e Mereu, riceverà a breve un quantitativo di materiale sanitario (150 mila mascherine, termometri a infrarossi, indumenti e occhiali protettivi) da girare agli ospedali. Ci sono poi iniziative personali dei giocatori, come il progetto #sosteniAMOli e azioni di volontariato».

Come sarà la Fase 2?

«Dovremo convivere col virus, cercando di ridurre al minimo il rischio. Si riprenderà con procedure rigide, dividendo la popolazione tra chi è protetto dal virus, chi dovrà essere protetto o dovrà andare in quarantena».

Preoccupa la fretta di chi vuole ripartire?

«Ogni fuga in avanti è fuorilegge, solo le istituzioni diranno quando riprendere e allora dovremo studiare le condizioni dei calciatori. Non ci sarà un pronti-via, si dovranno seguire procedure igieniche e cliniche. Il calcio professionistico si deve adattare a quanto accade nel mondo, ripartiremo solo con tamponi e test sierologici per evitare infezioni».

Cosa lascerà questa pandemia?

«Un grande coinvolgimento, una tragedia in cui voglio ricordare le tante vittime, anche tra i colleghi. Nulla sarà come prima. Si dovrà lavorare per potenziare le attività di prevenzione abbandonate negli ultimi decenni, primo avamposto contro le infezioni. Abbiamo creduto di superarli con antibiotici e farmaci e siamo tornati a quello che si faceva nel 1600, si sta lontani. Il servizio sanitario italiano ha dato un'ottima risposta. Ripartiamo da qui».

Alberto Masu

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