Fosse stato per lui non l'avrebbe mai giocata, e non perde occasione per sottolinearlo. "La mia testa non aveva previsto una cosa del genere. Mi spezza il cuore". Anche se poi, sotto sotto, l'aspetta dal giorno in cui ha conquistato la promozione in Serie A con le Rondinelle.

Un sospiro, un altro ancora. Cagliari-Brescia è molto più di una partita di calcio per Massimo Cellino, presidente dei rossoblù per ventidue stagioni, dal 1992 al 2014. È una miscela esplosiva di emozioni, tra ricordi indelebili, gioie e dolori, continui colpi di scena, trovate geniali, eccessi, salvezze incredibili e sogni infranti sul più bello. La sfida al passato che non passerà mai. Quasi una rivincita dopo l'addio turbolento di cinque anni fa, sicuramente un cerchio che si chiude.

Spietato e speciale davvero, il destino. Il ritorno da avversario nell'Isola proprio alla prima giornata del campionato che porta al centenario del club. "Incredibile, no?".

Presidente Cellino, ci tolga subito il dubbio: domenica sarà alla Sardegna Arena?

"Sì, anche se per me sarà sempre il Sant'Elia".

Con quali sensazioni?

"Mi sembra un sogno. O meglio, un incubo. La mia mente non era preparata all'idea di giocare contro il Cagliari. Non era previsto".

Ci sarà anche la sua famiglia?

"No, sarò solo. Il calcio per me ormai è soltanto un mestiere".

Che accoglienza si aspetta?

"Sinceramente non ci ho pensato. Spero bella".

La prima persona che cercherà allo stadio per abbracciarla?

"Ormai non è rimasto più nessuno. Sono felice, però, di rivedere la Curva Nord".

Non c'è il pericolo di sbagliare spogliatoio?

"No, anche perché mi hanno detto che rispetto a Is Arenas gli spogliatoi sono cambiati".

Che cosa dirà a Giulini quando vi incontrerete?

"In questi casi improvviso sempre".

Ricorda la prima partita da presidente del Cagliari?

"Come no. Cagliari-Juventus 0-0, era il 6 settembre del 1992".

L'ultima?

"Cagliari-Roma 1-3, nel 2014. In pratica gliela regalammo. Me ne andai disgustato dallo stadio e non tornai più".

Quanto l'ha segnata quel mese in carcere?

"Più che il carcere mi hanno segnato l'arresto e l'impotenza contro l'ingiustizia. Quel mese in prigione quasi quasi è stato il più bello della mia vita: quattro vittorie su quattro! Non volevo più uscire. Se rimango qui, pensavo, vinciamo lo scudetto".

Battute a parte, ci ripensa ancora ogni tanto o lo ha rimosso?

"Sarei un bugiardo se dicessi che non ci penso più. Mi torna tutto in mente nei momenti peggiori".

Che Cagliari ritrova dopo cinque anni?

"Un altro Cagliari. Del resto, anche il calcio è cambiato. Giulini sta facendo un buon lavoro, davvero. Tra i presidenti in Italia è uno dei migliori. Poi si può scherzare, sottolineare che siamo diametralmente opposti. Ma è giusto dirlo per onestà e rispetto dei ruoli: miglior presidente il Cagliari non poteva trovare. Sono sincero".

Che cosa è rimasto, invece, di quel Cellino?

"La dimestichezza nel gestire una squadra di calcio".

Oggi si sente più astuto, più competente o più saggio?

"Più equilibrato e meno passionale. Ripeto, ormai fare il presidente per me è solo una professione. Prima era diverso. Cagliari era la mia città, la mia vita. E mi sentivo responsabile di un intero popolo. Era quasi una missione".

Che cosa le ha insegnato l'esperienza al Leeds?

"È un po' come quando sposi una donna per dimenticare quella che hai sempre amato. Mi ha aiutato a staccarmi da Cagliari. Un sacrificio inevitabile per tutelare la società, la squadra, i tifosi e tutte le persone più care".

La differenza tra i tifosi inglesi e quelli italiani?

"Nella mentalità. Gli inglesi si concentrano sulla propria squadra, in Italia, invece, si tende più a offendere l'avversario".

Anche per questo ha scelto di vivere a Londra?

"Ho scelto Londra per stare vicino a mia figlia che si stava laureando e ora ha iniziato a lavorare. Sto cercando di dedicare più tempo alla famiglia".

Non ha più la barba e i capelli lunghi: resta un presidente rock?

"Quello sempre, al cento per cento".

La chitarra?

"Ne ho una ovunque, ma non la suono più da un pezzo. Non ho più testa e gli amici per farlo".

Il golf?

"Niente. Solo lavoro e Londra".

Ha messo da parte anche la scaramanzia?

"Scherza? La settimana scorsa non ho comprato un giocatore perché aveva il 17. Un altro lo avevo già preso, poi l'ho visto in un video con una maglia viola e ho fatto saltare tutto".

Ha già pensato al rito per domenica?

"Non serve, questa è per me la partita più facile di tutte. Vinco comunque vada a finire. Basta che non si infortuni nessuno e che i tifosi si comportino da galantuomini".

Si sarebbe mai immaginato di rivedere Nainggolan col Cagliari?

"Quando quest'estate l'ho visto giocare a calcetto all'Ossigeno ne ero certo".

Un voto al mercato dei rossoblù?

"Otto".

A quello del Brescia, invece?

"Sei meno meno meno".

Addirittura?

"Siamo una squadra che ancora deve conoscere la Serie A. Ci siamo avvicinati alla sufficienza con l'arrivo di Balotelli".

Come nasce il suo acquisto?

"Nasce da lui. Io mai avrei pensato di poter aspirare a un giocatore così forte ancora giovane. Ha deciso di seguire il cuore e non la testa".

Obiettivo salvezza quindi?

"Anche all'ultima giornata. Ci metto una firma subito".

Se Barella è stato pagato 50 milioni, Tonali quanto vale?

"Tonali non è in vendita. In ogni caso, il valore di un giocatore è complesso, lo calcoli quando vedi i soldi sul tavolo".

Chi sarà la sorpresa del Brescia quest'anno?

"Chancellor, difensore centrale venezuelano classe 1992. È alto 1,98, l'ho comprato per marcare Pavoletti". Sorride.

Dessena?

"È tutto per me, passato e presente. È venuto qui a Brescia in un momento delicato ed è stato importante. E per questo devo ringraziare Giulini".

Perché è finita con il ds Marroccu?

"Domanda di riserva? Preferisco non parlare".

Come ha fatto Corini, invece, a resistere?

"Ha valori importanti e ci completiamo a vicenda. Siamo due teste dure".

Le piace Maran?

"Fa un calcio molto offensivo. Sì, mi piace".

Un giocatore che gli ruberebbe volentieri?

"Non conosco i nuovi. Mi ha subito impressionato, invece, Pellegrini. Ma mi tengo stretti i miei".

L'anno prossimo il Cagliari festeggerà il centenario: che fetta della torta spetta a Cellino?

"Lo ammetto, ci sarei voluto essere io. Non so quanto possa essere grande la fetta, ma sentirsi dire che sono stato il più grande presidente del Cagliari da Andrea Arrica e Mariano Delogu, che ora purtroppo non ci sono più, già mi gratifica. Forse hanno esagerato, ma detto da loro, fa un certo effetto".

Si è pentito di averlo venduto?

"Dovevo farlo per tutelare le persone a cui volevo bene".

Ha pensato di ricomprarlo?

"C'è stato un momento in cui l'avrei fatto, il primo anno, quando a dicembre la situazione in classifica stava già precipitando. Alla fine non se ne fece nulla ed è stato meglio così".

La partita che conserva nel cuore?

"Cagliari-Pescara 4-0, il 6 giugno del 1993. La partita che ci portò in Coppa Uefa".

Quella che cancellerebbe, se potesse?

"Cagliari-Messina 0-2, nel 2002, quando fu colpito il portiere Manitta e lo stadio fu squalificato per quattro giornate".

Il rossoblù a cui si sente più legato.

"Sono tanti. Ormai li vedo allenatori, direttori sportivi, genitori. Mi limito ai più recenti e dico Cossu, Conti, Dessena, Ekdal, Astori e Pisano".

L'acquisto più importante?

"O'Neill, Dario Silva, Oliveira. Ma anche qui sono tanti, troppi".

Il grande flop?

"Come si chiamava? Ah, sì, Ceppelini. Terribile".

Un rimpianto?

"Eriksson. Devastante, un fenomeno, tradito da due crociati. Ma anche Thiago Ribeiro, gestito male, e Larrivey, il più "sfigato" del Cagliari".

Come vivrà la vigilia?

"In barca con un panino e i pochi amici di sempre".

Che partita si aspetta?

"Non riesco a decifrarla, anche perché noi non siamo pronti. Siamo decimati dagli infortuni".

Quale sarà per lei, invece, il momento più emozionante?

"Probabilmente l'ingresso allo stadio. Tra l'altro, non saprò nemmeno dove dovrò sedermi".

Perché anche Massimo Cellino si emoziona, giusto?

"Sin troppo. Anche se non si vedono le lacrime".

Fabiano Gaggini
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