La talassemia è una malattia ereditaria del sangue caratterizzata da un’anemia cronica dovuta alla sintesi ridotta o assente di una delle catene polipeptidiche (alfa o beta) presenti nella molecola dell’emoglobina, proteina responsabile del trasporto di ossigeno attraverso tutto l’organismo.

La forma più diffusa nel bacino del Mediterraneo è la beta talassemia, chiamata per questo anemia mediterranea. Oggi in Italia ci sono circa 7mila pazienti e la Sardegna, fra le regioni più colpite, ne conta circa 1000.

Come sottolinea la dottoressa Susanna Barella, direttrice dell’Unità operativa Talassemie dell’ospedale pediatrico Microcitemico di Cagliari, «la Beta talassemia può avere diversi livelli di gravità: il meno grave si riferisce al portatore sano, praticamente asintomatico; la forma intermedia (non dipendente dalle trasfusioni) e la forma major.

I pazienti che ne sono affetti non sono in grado di produrre adeguati livelli di emoglobina, e quindi sopravvivono solo ricevendo trasfusioni regolari di sangue da parte dei donatori, con un intervallo di tempo che varia in media fra le due e le quattro settimane. Sfortunatamente - prosegue la dottoressa - il sangue che viene trasfuso nel paziente, e che gli consente di sopravvivere, contiene del ferro che accumulandosi, nel corso del tempo, può diventare talmente tossico da risultare a sua volta letale se non viene contrastato dai farmaci ferro-chelanti.

L’evoluzione nei metodi di diagnosi e cura in questa patologia ha notevolmente migliorato le aspettative e la qualità di vita: ancora negli anni Settanta i pazienti morivano quando erano adolescenti o giovani adulti, mentre oggi possono sposarsi, avere figli, svolgere una vita attiva e in alcuni casi riuscire anche a diventare nonni, ovviamente a condizione di seguire la terapia con regolarità».

La malattia si manifesta in genere non prima dei quattro-sei mesi di vita; la diagnosi si sospetta in base a segni clinici e di laboratorio: anemia grave, ritardo nella crescita, stanchezza e pallore.

Attualmente quasi tutti i casi vengono comunque diagnosticati alla nascita o prima mediante villocentesi. Il numero dei nuovi nati con talassemia si è ridotto anche in seguito alla possibilità di effettuare una diagnosi prenatale: attualmente il 95 per cento circa delle coppie costituite da portatori sani decide infatti di interrompere la gravidanza in caso di feto malato.

«I donatori di sangue sardi si confermano virtuosi rispetto alla media nazionale - continua la dottoressa - ma non riescono ugualmente a soddisfare la richiesta di trasfusioni, anche perché in diversi casi si tratta di portatori sani di talassemia che non hanno i requisiti, cioè i livelli di emoglobina, necessari per donare; di conseguenza è necessario rivolgersi anche ad altre regioni».

Il sangue prelevato a ogni seduta di donazione varia fra i 350 e i 450 ml, non comporta alcun scompenso nell’organismo e chi dona ha diritto a un giorno di riposo. «Guardando alle prospettive future di questi pazienti molto dipenderà, anche in Sardegna, dalla possibilità di formare figure professionali adeguate ad affrontare una patologia complessa (molti organi quali come cuore, fegato e pancreas sono coinvolti dal sovraccarico di ferro).

Un ulteriore obiettivo, attraverso lo sviluppo di farmaci o la terapia genica - conclude Susanna Barella - è quello di raggiungere cure efficaci o definitive. Questo potrebbe far propendere sempre più coppie di portatori sani verso la scelta di avere dei figli con talassemia, senza con questo compromettere il loro futuro».
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