Il campanello d'allarme l'aveva fatto trillare un ragazzino di soli sedici anni. Inconsapevole di quanto gli era costato il rapporto sessuale non protetto durante una delle tante serate in discoteca con una ragazza straniera.

La diagnosi fatta da due dottoresse della clinica dermatologica del San Giovanni di Dio parlava chiaro: sifilide e non - come lui aveva pensato all'inizio - una semplice dermatite. Era il 2003. Da allora ad oggi i casi sono aumentati in maniera esponenziale "fino a sfiorare il quattrocento per cento in undici anni".

ESCALATION - Un continuo crescendo che in dieci anni ha fatto schizzare verso l'alto le statistiche sulla diffusione del lue, il "mal francese", come veniva ribattezzata la sifilide che nelle sue forme più gravi aveva minato la salute di migliaia di persone (ma anche ucciso) a Parigi e dintorni, in Europa, nel Mondo.

IL MEDICO - "Dal 2018 ad oggi i casi sono aumentati, in città e nell'hinterland, del quattordici per cento" spiega Laura Atzori, il medico della clinica Demos del San Giovanni di Dio diretta da Franco Rongioletti che, insieme alla collega Caterina Ferreli, visitò nel 2003 il sedicenne comunicandogli che aveva contratto la malattia durante il rapporto sessuale non protetto con una sconosciuta. "Parlare di allarme non è corretto, ma è evidente che l'aumentare dei casi deve far crescere l'impegno sul fronte della prevenzione e dell'informazione", avverte Atzori. "Perché la recrudescenza di questa patologia è assolutamente reale". I numeri non lasciano spazio ad equivoci: tra il 2011 e il 2017 sono stati curati 166 pazienti mentre nel solo 2019 i casi sono stati settanta.

LA COLLABORAZIONE - Per questo la clinica universitaria, che si occupa anche di Hiv e delle altre infezioni trasmissibili sessualmente e che da anni è stata inserita dal ministero come "presidio sentinella" del sistema di sorveglianza nazionale per la sifilide, ha scelto di incrementare i rapporti di collaborazione con la Lila anche sul fronte della lotta al "morbo gallico".

"La sifilide - ricorda il professor Franco Rongioletti, direttore dell'Unità complessa di dermatologia dell'Aou - non fa distinzione tra giovanissimi e adulti, tra operai, disoccupati e professionisti. Un altissimo numero dei nostri pazienti, circa la metà, aveva in tasca un diploma e il dodici per cento era laureato". Come dire: neppure la cultura e l'informazione sembrano tener lontana la malattia. Una patologia che stando agli studi della clinica ha coinvolto disoccupati (31%), operai (14%), impiegati (17%), professionisti (10%), imprenditori (4%), artigiani (6 %), commercianti (4%), pensionati (4%), casalinghe (3 %) e il resto diviso tra categorie minori.

L'INCOSCIENZA - "Purtroppo ciò che allarma - precisa Laura Atzori - è la perdita di un riferimento sulla salute. Non ci importa di noi stessi, non ci importa della società. Perché sono tante le persone che ci dicono di aver continuato ad avere rapporti sessuali pur sapendo di essere malati e di mettere a rischio la salute del partner. Sia esso occasionale o addirittura compagno, marito, moglie".

Andrea Piras

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