Domenica 9 febbraio, sulla scena del delitto, vicino alle chiazze di sangue, c'era un pugnale: era nel folto di un cespuglio e sul manico e sulla lama (seghettata, lunga 17 centimetri) c'era del sangue. Quel pugnale, poco dopo l'uccisione di Davide e Massimiliano Mirabello, è stato preso, portato via e consegnato ai carabinieri sei giorni dopo, senza manico e con la lama annerita dal fuoco.

È uno dei tanti misteri che si intrecciano nel giallo di Dolianova. Oggi, nel carcere di Uta dove sono rinchiusi da venerdì scorso i presunti assassini, Joselito Marras e suo figlio Michael hanno fatto scena muta davanti al gip che ha convalidato i fermi disposti dal pm Gaetano Porcu. Ed è nel decreto firmato dal magistrato che si scoprono dettagli e retroscena della vicenda.

CACCIATORI E CICLISTI - A Funtana Pirastu, strada lungo la quale i Marras facevano pascolare le loro pecore e che i Mirabello erano obbligati a percorrere per raggiungere il paese, quella domenica pomeriggio c'è un bel viavai. Passano diversi cacciatori, uno dei quali vede i Marras intorno alle 15,30: Joselito in piedi, appoggiato alla Fiat Panda bianca al volante della quale c'è il figlio Michael. L'auto è quella su cui i carabinieri del Ris troveranno poi una traccia del sangue di Davide Mirabello. Passa un ciclista, che verso le 15,55 nota le chiazze di sangue sull'asfalto: essendo l'ultima domenica di caccia, pensa a qualche animale abbattuto. E infine passa una coppia, sulla quale gli atti del pm si soffermano a lungo.

ALLA RICERCA DI UN CANE - La sera dopo il delitto, la coppia si presenta a casa di Luana Piano, la compagna di Massimiliano. Abitano lì in zona. Luana è angosciata perché il compagno e il cognato, usciti di casa in stato di grande agitazione, non sono più rientrati. È la coppia a parlarle di quelle grosse chiazze di sangue sulla strada. I due dicono di essere alla ricerca di un loro cane e quel sangue li preoccupa: che il cane sia stato investito?

L'uomo, sei giorni dopo, è nella caserma dei carabinieri insieme al suo avvocato. Consegna il pugnale bruciacchiato. Quella domenica pomeriggio l'ha trovato, dichiara, in un cespuglio vicino alle macchie di sangue. Spiega di averlo fatto sparire perché non voleva essere coinvolto: su quel coltello, che lui stesso aveva regalato tempo addietro a Massimo Mirabello, potevano esserci le sue impronte, conservate nella banca dati delle forze dell'ordine per vecchi reati.

Ma cosa sanno, lui e la compagna, di cosa è successo a Funtana Pirastu? Hanno visto qualcosa? Erano davvero lì per cercare il loro cane? La loro posizione è ancora al centro delle riflessioni degli investigatori.

PREMEDITAZIONE - Per il resto, il quadro delle accuse è chiaro: gli inquirenti sostengono che i Marras hanno premeditato l'omicidio dei loro vicini di terreno, con i quali da due anni era in corso una guerra fatta di soprusi, insulti, minacce, incendi e violenze. Quel pomeriggio, al passaggio di Davide diretto in auto verso la casa del fratello, Joselito avrebbe sputato ostentatamente per terra: un gesto sprezzante che i due fratelli calabresi avrebbero deciso di punire. Una reazione a cui i Marras sarebbero stati preparati: Porcu scrive di una "azione in qualche modo pensata in anticipo e pianificata" e portata a termine "in modo rapido e sicuro, con armi di una certa efficacia e potenzialità lesiva (tipo roncole o altri analoghi strumenti)". Il sangue sul pugnale certamente non era dei Marras: sottoposti a visita medica, sui loro corpi non è stata trovata alcuna ferita.

PERICOLO DI FUGA - A indurre il magistrato a decretarne il fermo, anche il pericolo di una fuga. Il 21 febbraio, parlando col padre, il giovane, intercettato, a un certo punto dice: "Mi toccherà fare un biglietto e partire".

Ma per il pm gli indagati avrebbero anche potuto commettere altre violenze e c'era un pericolo di inquinamento delle prove. Per far sparire i cadaveri dei fratelli calabresi, scrive Porcu, padre e figlio hanno goduto della "collaborazione di terze persone".

Marco Noce

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