"Se hotel, ristoranti e il resto del settore turistico potranno riaprire entro il 30 giugno, noi albergatori almeno potremo fare da previdenza sociale: si pagano i dipendenti e a noi operatori non resta nulla. Ecco, questo è lo scenario migliore possibile: tutto il resto è molto peggio e la stagione estiva è già compromessa». Paolo Manca, presidente regionale di Federalberghi (Confcommercio), avrebbe tanta voglia di essere ottimista. Ma non ne ha motivo: «Noi possiamo tenere aperto, lo prevedono le norme. La migliore delle ipotesi per gli hotel stagionali è però un fatturato del quaranta per cento rispetto agli anni scorsi: un mezzo disastro".

Aprireste però da luglio. Meglio che niente.

«Vero, ma con pochi clienti. Il D-day è stato il 21 febbraio, quando all'improvviso si sono bloccate le prenotazioni e sono piovute le disdette. I clienti si acquisiscono prima, non all'ultimo minuto svendendo le camere, ma la pandemia ha infranto questa regola di base. E poi c'è l'altra ipotesi, più verosimile: la fine dell'emergenza Coronavirus il 5 settembre. In quel caso, io aprirei soltanto l'hotel che dà sul mare, non gli altri. Finché l'emergenza persisterà, non avremo turisti e addio ai 3,5 milioni di arrivi».

È la media annuale?

«Lo era. Quegli arrivi sviluppavano i 15 milioni di presenze turistiche, dieci milioni delle quali in albergo. Per la metà sono stranieri, e nei restanti 1,7 milioni ci sono cinquecentomila sardi. Però gli spagnoli sono in ginocchio e non faranno turismo e i francesi punteranno sul mercato interno. Dunque ci aspettiamo ben pochi stranieri, pochi dalla Penisola e qualche sardo».

Quindi?

«Dobbiamo essere soccorsi, l'abbiamo chiesto alla Regione. Se andiamo gambe all'aria noi, lo fa l'intero comparto turistico con tutto il suo peso sull'economia sarda. Non siamo imprese manufatturiere: ogni notte il nostro prodotto scade, quel giorno è perso per sempre».

Chiedete che la Regione vi dia una mano: grande quanto?

«In grado di tenere 150 milioni, in totale: un'iniezione da 200-300 mila euro ad albergo e poco meno a ogni struttura turistica, come ad esempio i ristoranti. Con quella liquidità immediata pagheremmo gli stipendi a tutto il personale, che sarebbe poi tassato e spenderebbe nell'Isola. Costerebbe meno dei sussidi e si metterebbe denaro in circolo in un'economia bloccata. Ripeto, i guadagni per gli albergatori sono esclusi, ormai: puntiamo al pareggio, così si potrà realizzare un'operazione sociale sia per i dipendenti sia per gli imprenditori. Condizioni straordinarie richiedono azioni straordinarie».

È una quantità enorme di denaro.

«Che può bastare solo se si detassa il lavoro, così ci saranno più assunzioni. Se vogliamo salvare imprese e personale, generando un reddito fiscale che poi torna indietro a Stato e Regione, non ci sono alternative».

Insomma, il banco è già saltato.

«Senza dubbio. Se va bene e apriamo da luglio, la stagione è compromessa. Se invece non apriamo, possiamo direttamente parlare di bomba sociale: in Sardegna, su centomila assunzioni per il settore dei servizi, 78mila erano per il turismo. E poi in questo periodo, negli anni scorsi, erano già al lavoro operai, elettricisti, altri artigiani, manutentori e parte del personale per la riapertura dopo la stagione fredda, quella di stop. Invece sono tutti fermi: pochi di noi hanno richiesto la loro opera, non sapendo quando la gente potrà riprendere a circolare».

Un disastro, insomma.

«Beh, se moltiplichiamo i 78mila lavoratori del settore turistico per le buste paga che avrebbero percepito, viene fuori mezzo milione di buste per un controvalore di miliardi. Una sciagura anche per molti universitari, che si mantengono agli studi con i soldi delle estati lavorative. Certo, che è un disastro: le casse degli hotel sono vuote».

Lo sarebbero comunque, ad aprile.

«Sbagliato: quest'anno non sono stati incassati gli acconti di chi ha disdetto la vacanza quando è scoppiata la pandemia».

È crollato tutto.

«Quasi tutto. O il presidente della Regione, Solinas, provvede immediatamente o sarà la morte di tante imprese turistiche. I fallimenti sono iniziati: non si fermeranno, senza l'intervento della Regione».

Luigi Almiento

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