Era il buen retiro della famiglia, uno spicchio di Nuoro da dove Grazia Deledda, ancora bambina, poteva allargare lo sguardo lontano, fino alla valle del Cedrino e alla marina di Orosei. Ancora adesso, i turisti vanno a cercare i luoghi raccontati da Cosima: "Piccole stanzette erano addossate alla chiesa, sotto lo stesso tetto, e una specie di portichetto si apriva davanti alle due porte, una a mezzodì l'altra a ponente, con sedili in muratura tutto intorno. Nelle stanzette dimoravano i fedeli, durante il periodo della novena e della festa della piccola Madonna".

La chiesetta, gioiello di architettura religiosa campestre, dalle linee molto semplici, sta in cima al monte Ortobene, nascosta da un bosco di pini impiantati dopo il devastante incendio del 1971. Per i nuoresi è semplicemente la chiesetta del Monte dove ogni domenica d'estate si celebra la messa e il 22 agosto la festa. Festa sobria, al di là delle restrizioni anti Covid di quest'anno, mai solenne come quella del Redentore che segue il 29 agosto. Ma di forte richiamo comunque, almeno per i nuoresi doc, come la Deledda che non a caso scrive: "In questo davvero primitivo ambiente, che aveva della capanna e della caverna, e riceveva luce solo dalla porticina aperta sul bosco, Cosima quell'anno, poiché la zia Paola l'aveva invitata con le sorelle a passare con lei il tempo della novena, passò i giorni più belli della sua vita. Fu proprio un sogno, bello, completo, pieno di cose misteriose, come i veri sogni".

Lo spirito deleddiano si respira ovunque. Da poche settimane si ammira la nuova statua in bronzo, fresca di inaugurazione. L'ha realizzata lo scultore Pietro Longu che ha voluto raffigurare la scrittrice premio Nobel nel 1926 con l'abito tradizionale di Nuoro, a rinnovare il legame viscerale con una realtà che ha sempre alimentato le sue opere letterarie. Un metro e ottanta di altezza, tanta cura nei particolari del costume, la statua piace, anzitutto ai nuoresi. "E' bellissima, abbiamo riportato la scrittrice nella sua seconda patria, in quel luogo che amava raccontare nei suoi romanzi", commenta Antonio Costa, presidente del comitato "Monte Ortobene Ultima spiaggia" che ha donato l'opera e per tutta l'estate organizza eventi, tra musica, teatro e solidarietà. Ogni serata una raccolta fondi, da destinare a un'associazione di volontariato impegnata nell'assistenza a malati e persone in difficoltà.

Il comitato, paladino della rinascita del monte Ortobene, colleziona successi grazie al suo slancio di generosità, ormai consolidato da anni. In questo contesto inevitabile ospitare la prima dello spettacolo "Agnese e l'altra" ispirato al romanzo deleddiano "La madre" in occasione dei cent'anni dalla pubblicazione. L'ha portato in scena Giovanni Carroni, regista nuorese e anima della compagnia Bocheteatro. "Il romanzo narra l'amore proibito e impossibile di don Paolo e Agnes, sacerdote ventottenne lui e giovane vedova lei. Il romanzo della Deledda - spiega Carroni - è di un'attualità sorprendente sia nel linguaggio che nel contenuto se pensiamo che è solo di alcuni anni fa, cioè del 2014, la lettera inviata a papa Bergoglio, firmata da 26 donne italiane che chiedono di rivedere la legge sul celibato dei sacerdoti".

Palcoscenico della rappresentazione il parco comunale verso cui guarda la statua della Deledda. La chiesetta domina il versante opposto. Il piccolo tempio è dedicato alla Vergine del Monte Nero e si porta dietro una storia importante non solo perché è luogo del cuore della Deledda.

In trenta giorni appena è stata edificata e inaugurata il 26 aprile del 1608. Era stata voluta dai fratelli Melchiorre, Giovanni Angelo e Pietro Paolo Pirella a proprie spese. Il primo vescovo di Bosa e Ales, gli altri due sacerdoti, originari di Nuoro, tornavano da un pellegrinaggio al santuario della Vergine di Montenero a Livorno. Durante la traversata in mare, in vista delle coste della Sardegna, una tempesta mise tutti a dura prova. Nella paura generale i tre fratelli pregarono la Madonna con tanta intensità da promettere, qualora fossero tornati a casa sani e salvi, di edificare una chiesa sulla cima di un monte. Al momento dello sbarco, passata la burrasca, i tre fratelli credettero di vedere all'orizzonte il profilo del monte Ortobene che ben conoscevano. Intesero quella visione come il luogo dove realizzare il santuario. Senza perdere tempo onorarono la promessa su un piccolissimo pianoro, detto "Cuccuru nigheddu", ovvero la punta nera. Ancora adesso sopra l'ingresso principale della chiesetta c'è lo stemma della famiglia Pirella: l'albero del pero. Per sostenere la chiesa i fratelli Pirella donarono terre, vigneti e oliveti. Venne poi ereditata dalla famiglia Tola di Bitti. Nel 1846, però, i fratelli Agostino, Ciriaco Antonio e Gavino Tola rinunciarono e cedettero chiesetta, cumbessias e prato adiacente alla Cattedrale di Nuoro. Divenne parrocchia nel 1962, intitolata al Redentore. Dal 1987 fa capo alla Cattedrale. Nel 2002 un attentato danneggiò le cumbessias e il tetto della chiesetta. Dopo il restauro, la riapertura al culto. Ora tutte le cure sono affidate ai volontari che ogni giorno fanno un gran lavoro.

Se Grazia Deledda è senz'altro la residente più illustre, legata a questo luogo dal fratello prete della madre, che ne fu cappellano, tanti nuoresi amano trascorrere le sere d'estate o fare camminate di buon mattino in mezzo ai lecci che avvolgono tutto il monte anche se faticano a farsi spazio tra i pini cresciuti davanti alla chiesetta. "Bisogna sfoltire l'area dei pini in eccesso, altrimenti la chiesetta non si vede. Di giorno si intravede a fatica, di notte è tutto al buio", commentano i residenti. I turisti, al di là dell'impagabile bellezza del paesaggio, trovano poco: due bar e un chiosco di souvenir. Chiusi gli storici hotel Sacchi e Esit, testimonianze di un turismo montano d'avanguardia in tempi lontani, ma ora purtroppo spento. La valorizzazione turistica del Monte, sempre richiamata dalle amministrazioni comunali, stenta a decollare. Invece, bisogna fare i conti con tanti limiti: dalla carenza d'acqua alla scarsa illuminazione, alla mancanza di segnaletica. Perfino l'indicazione del sentiero che conduce alla statua del Redentore, luogo simbolo di Nuoro, è dimessa. Per fortuna l'imponente opera in bronzo dello scultore Vincenzo Jerace, che svetta sulla cima, assieme al fascino dell'Ortobene, suscita tanta meraviglia da ripagare sempre i visitatori.
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