Il colonialismo europeo di fine Ottocento ha cementato nella società occidentale una convinzione: la superiorità dell'uomo bianco rispetto al resto della popolazione umana, in particolare nei confronti dei neri dell'Africa, il continente su cui maggiormente si concentrarono le mire di conquista delle potenze europee. In quel periodo di conquiste, così, nacque l'idea di una missione civilizzatrice dell'Europa che giustificava l'occupazione di territori, la discriminazione, lo sfruttamento di persone e risorse.

Celebri, in questo senso, le parole del presidente del Consiglio francese Jules Ferry che nel 1885, per legittimare le imprese coloniali, affermò di fronte al Parlamento: "Le razze superiori hanno il dovere di civilizzare le razze inferiori".

Partendo dalla consapevolezza di quanto siano radicati e presenti nel mondo occidentale questi miti Achille Mbembe, filosofo nato in Camerun e tra i maggiori studiosi del post colonialismo in Africa, nel suo recente saggio "Critica della ragione negra" (Ibis, 2019, pp. 295) ci propone un'analisi originale e profondamente iconoclasta dei rapporti tra Occidente e Africa e soprattutto tra occidentali e africani di colore. Lo fa partendo da una considerazione cruda e allo stesso tempo veritiera: in epoca moderna il negro – termine appositamente usato da Mbembe per sottolineare il disprezzo che per lungo tempo è stato normale provare nelle società "bianche" nei confronti degli uomini di colore – è stato l'unica categoria di esseri umani trasformati in merce e come tali venduti e comprati.

Questo fatto ha avuto esiti disastrosi per l'Africa. Se prendiamo, infatti, in considerazione l'Africa, questo continente ai primi esploratori europei del XV e XVI secolo sembrò abitato da popoli con usanze e credenze differenti da quelle presenti in Europa. Differenti, non inferiori. Le fonti della prima Età Moderna parlano, infatti, di stupore per il lusso e la ricchezza di alcuni sovrani africani, per le loro tante mogli e i numerosi schiavi. Questi primi europei in Africa non si confrontarono, perciò, con nulla che ai loro occhi poteva apparire incomprensibile, frutto di una civiltà inferiore o di un'assenza di civiltà. Non vi erano quindi elementi che potessero definire fin dall'inizio i rapporti tra africani ed europei in termini di inferiorità/superiorità. Il diffuso disprezzo degli europei per i neri dell'Africa fu un prodotto della tratta atlantica degli schiavi e poi della cultura dell'imperialismo europeo.

A mano a mano che crebbe il valore degli africani come "merce" venne meno la loro immagine come esseri umani e sulla base di questa svalutazione e disumanizzazione gli europei costruirono il loro immaginario sull'Africa, il "continente nero" per sottolinearne gli aspetti oscuri, misteriosi e "selvaggi".

Gli africani diventarono quindi esseri inferiori, valutazione che forniva il pretesto ideologico alla loro riduzione in schiavitù in un momento in cui l'Europa affermava, con l'Illuminismo e la Rivoluzione francese, i principi di uguaglianza e libertà. Questo disprezzo crebbe a dismisura con l'aumento della disparità tecnologica ed economica dovuto alla Rivoluzione industriale e all'affermarsi del capitalismo imprenditoriale. E il disprezzo fornì le basi per il razzismo basato sul colore della pelle, che fece da sostrato teorico al colonialismo imperialista. L'Africa divenne un continente primitivo, sanguinario, selvaggio e la sua storia venne riletta in un'ottica puramente eurocentrica. Un'ottica priva di fondamento, ma che col tempo divenne più reale della realtà, tanto, come racconta Mbembe, da offuscare generazioni di storici e da venire "accettata" anche dagli africani stessi, soprattutto tra le élite dominanti. Élite incapaci di liberarsi di questa lettura distorta della storia del loro continente anche dopo la fine del colonialismo, forse per timore di un rovesciamento di quello status quo che le garantiva privilegi.

Insomma, prendere coscienza di quanto siano radicate determinate convinzioni e quanto ancora incidano sui rapporti tra Occidente e Africa è per lo studioso camerunense passaggio obbligato per recuperare un'identità africana che non sia costruita dall'esterno, attraverso il filtro della cultura europea. E per provare a costruire una relazione più equilibrata e meno esposta a rigurgiti razzisti tra occidentali e africani.
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