Diciamolo: anche dal punto di vista linguistico l'Italia è un Paese unico. Ci si sposta di pochi chilometri e la nostra lingua assume nuove sfumature, si incontrano espressioni particolari. È l'Italia dei cento idiomi e dei mille dialetti, frutto della storia variegata e a lungo frammentata della penisola. Una penisola dove in Friuli si dice "mandi!" per salutarsi con un "ciao", a Genova ci si separa con il "se vedémo, besughi" alla maniera del Gabibbo di Striscia la notizia oppure ci si può lasciare alla maniera sarda con un bel "a si biri cun saludi".

Certo che con tutta questa varietà di espressioni regionali è facile perdersi e allora ci viene in aiuto un libro pensato per i più giovani ma utile un po' a tutti: "Eh?" (Einaudi Ragazzi, 2019, pp. 133). Il volumetto, scritto dal linguista Ugo Vignuzzi in collaborazione con le colleghe Patrizia Bertini Malgarini e Maria Carosella, raccoglie regione per regione alcune espressioni tipiche raccontandoci non solo il loro significato, ma anche come sono nate, quali storie curiose e affascinanti si nascondono dietro questi modi di dire più o meno conosciuti. Il libro diventa così un viaggio attraverso le parole e attraverso quella terra così spettacolare e multiforme che è l'Italia. Un viaggio che vuole prima di tutto raccontare come dialetti ed espressioni regionali possano aiutare a unirci anziché dividerci come ci racconta Ugo Vignuzzi:

"Il libro nasce dalla voglia di parlare non solo di dialetti ed espressioni regionali, ma anche di coesione. Siamo un Paese che ha oscillato e oscilla tra l’unitarismo assoluto e lo sparpagliamento massimo.

Particolare dalla copertina del libro
Particolare dalla copertina del libro
Particolare dalla copertina del libro

Viceversa, dobbiamo riconoscere che nostra ricchezza e forza sono proprio le diversità, la possibilità di scambio tra le diverse culture che attraversano la penisola. Non a caso, con felice sintesi, l’illustratore Jan Sedmak ha messo in copertina Pulcinella che dialoga con un gondoliere e un sardo che parla con una donna visibilmente del nord Italia. Ha voluto trasmettere l'idea che siamo tanti, diversi, ma possiamo essere anche uniti. L'importante è conoscerci, anche attraverso delle frasi, dei modi di dire regionali, che però trovano poi corrispondenza non solo negli altri dialetti, ma anche nell'italiano".

Ma i dialetti non contribuiscono a dividerci?

"Se vogliamo comprendere bene l'italiano dobbiamo partire dai dialetti. Tutti i grandi scrittori italiani, compreso Manzoni, hanno preso le mosse dal dialetto, lo parlavano, anzi lo usavano anche nella loro corrispondenza personale come faceva proprio l'autore dei "Promessi sposi". Il dialetto divide se ci si chiude nel proprio piccolo recinto, se si diffida negli altri, se si vede nel vicino il nemico come è avvenuto spesso nella storia italiana".

In che modo il dialetto può unire allora?

"I dialetti sono costitutivi del Dna del nostro Paese. Sono sempre stato un sostenitore dell'idea di 'Italia delle Italie', un'Italia che è allo stesso tempo plurale e unita. Gli uomini che hanno fatto il nostro Paese nell'Ottocento parlavano il dialetto quotidianamente ma nelle occasioni pubbliche e ufficiali si sforzavano di usare l'italiano, consapevoli che l'unità del Paese passava anche attraverso la sua coesione linguistica. Bisognava poi fare in modo che l'italiano da lingua elitaria, degli intellettuali, diventasse lingua di tutti e qui ha contribuito il fatto che l’italiano venisse sentito come strumento di promozione sociale. Era un plusvalore per emergere. Le masse nel Novecento, senza rinunciare al dialetto, hanno voluto che i loro figli imparassero l’italiano per progredire all'interno della società".

Ma cosa distingue l'italiano dai dialetti?

"Il dialetto è una lingua dell'esperienza locale, quotidiana. Proviamo per esempio a parlare di teoria della relatività in dialetto… non è semplice. Bisogna investirci anni di studio, anche soldi per alimentare la ricerca linguistica e poi ci vogliono le persone che parlino di relatività in dialetto. L’italiano nasce dal volgare fiorentino del Trecento però Dante e poi Petrarca e Boccaccio ne hanno fatto una lingua capace di esprimere tutti concetti. Come amo dire, la lingua è un dialetto che ha fatto carriera!".

Nel libro troviamo anche espressioni sarde, come A chent’annos. Il sardo è lingua o dialetto?

"Assolutamente non è un dialetto italiano, ma una lingua che appartiene all'area linguistica italiana. Non a caso è tra le lingue riconosciute dalla legge 482 del 1999 a tutela delle minoranze linguistiche storiche. Spetta poi ai sardi farla crescere come lingua, arricchendone la grammatica e la capacità di esprimere tutti i concetti".
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