Il primo uomo sulla luna fu Neil Armstrong, il secondo se lo ricordano in pochi (Buzz Aldrin) nonostante l'overdose di articoli e documentari per il 20 luglio 2019, cinquantenario della loro missione. Il terzo praticamente non se lo fila nessuno ed è un peccato, perché la storia del suo allunaggio è forse ancor più affascinante di quella precedente. E lui, Pete Conrad, un personaggio molto originale, brillante. Assai lontano da quella specie di computer con braccia e gambe che dicono fosse Armstrong. Uno che sfidava la rigidità della Nasa, grande amico (non solo amico, secondo alcune ricostruzioni) di Oriana Fallaci.

Eppure i media di tutto il mondo, dopo aver fatto qualsiasi cosa per la ricorrenza del primo sbarco sulla luna, non hanno preparato niente di simile per quello successivo, datato 19 novembre 1969. Poche celebrazioni per Conrad e per altri due uomini che salvarono la missione Apollo 12, uno a bordo della navicella e un altro a terra, a Houston. Del resto la memoria collettiva è così, iniqua e capricciosa. Consegna alcuni personaggi alla gloria e altri all'oblio senza un sicuro criterio meritocratico: e a volte quelli a cui tocca di essere dimenticati hanno fatto la storia non meno dei "famosi".

La Rivoluzione francese non è solo Danton, Marat e Robespierre; a pugnalare Cesare furono in tanti, ma le ultime leggendarie parole del Dictator tradito ci lasciano nella mente solo Bruto. Anche l'epopea luminosa della conquista della luna crea un cono d'ombra in cui finiscono protagonisti e storie non trascurabili. L'Apollo 12 è schiacciato nel ricordo popolare da un lato dal primo allunaggio dell'Apollo 11, dall'altro dal dramma sfiorato dall'Apollo 13, poi tramandato dal film con Tom Hanks diretto da Ron Howard. E dire che Conrad e i suoi compagni di viaggio sono stati a un passo dal fallimento, forse dalla morte. Durò un minuto o poco più, ma di puro brivido.

APOLLO TRA I FULMINI - Tutto inizia 36 secondi dopo il lancio, mentre su Cape Canaveral è in corso una tempesta e la navicella cerca tra le nuvole la sua strada per la luna. È lì che viene colpita da un fulmine, e quasi subito da un altro. A bordo si accendono tutte le luci che segnalano anomalie. Poi si spengono contemporaneamente. Gli equipaggi spaziali sono preparati a gestire le emergenze, ma questa non rientra tra quelle affrontate al simulatore. La cosa più grave è che è saltata la telemetria, per cui a Houston non arrivano più i dati della capsula e il Mission Control non può riavviare le celle del carburante. Quindi l'energia disponibile è solo quella dell'impianto elettrico di riserva, che ha scarsa autonomia. Nel frattempo il razzo propulsore continua a spingere. Restano poche decine di secondi per far abortire il lancio, staccando il razzo dalla capsula. Una volta in orbita, ci si troverà in uno scenario ancora più complicato. Ma anche il rientro anticipato sulla terra espone gli astronauti a forti rischi. Da Houston non sanno cosa dire, e infatti per una ventina di secondi non dicono niente. Poi però. Poi si materializza la provvidenza sotto forma di un giovane ingegnere texano, John Aaron, responsabile dei sistemi elettrici e di comunicazione del volo. "Provate Sce su Aux", dice. Per noi comuni mortali è indecifrabile. Il bello è che anche al Mission Control, in quel momento, nessuno sa che cosa voglia dire. Un anno prima, per puro caso, Aaron aveva assistito a una simulazione in cui sugli schermi erano apparsi all'improvviso dei dati incomprensibili. Molto simili a quelli che arrivano ora dalla capsula del comandante Conrad. Aaron, nell'occasione precedente, aveva avuto la curiosità di approfondire la causa di quella stranezza: un crollo del voltaggio che aveva mandato in tilt lo Sce (Signal conditioning equipment), dispositivo cruciale per la trasmissione di informazioni dalla capsula. Il giovane ingegnere aveva capito che, spostato in modalità ausiliaria (Aux), lo Sce riprendeva a funzionare pur in condizioni di basso voltaggio. Le scariche dei fulmini potrebbero aver riprodotto un simile cambio di voltaggio, ragiona Aaron mentre accanto a lui il capo del Mission Control sta per dare l'ordine di bloccare il lancio. E allora: "Provate Sce su Aux". In sala nessuno capisce, ma in mancanza di idee migliori la comunicazione viene ugualmente girata alla capsula. In un primo momento non viene compresa neppure a bordo, perché non è facile ricordare cosa diavolo sia lo Sce. Ci sono centinaia di comandi manuali, alcuni nelle esercitazioni non sono stati manovrati mai. Pete Conrad non sa di cosa gli stiano parlando, il suo collega Richard Gordon ancora meno. Per fortuna il terzo è Alan Bean, che da qualche parte si era imbattuto nello Sce e lo ritrova rapidamente. È in pratica un interruttore da far scattare: lui lo fa, e poco dopo da terra possono far ripartire le celle carburante. La missione è salva, avrà un allunaggio assai più preciso di quello del 20 luglio, e dal punto di vista scientifico sarà molto più utile. E il merito di Conrad? Il sangue freddo, ai limiti della temerarietà. Il bottone di emergenza per stoppare il lancio c'è anche a bordo. Resistere alla tentazione di premerlo, mentre la capsula è quasi al buio e da Houston non arrivano istruzioni, non è un comportamento troppo razionale. I colleghi racconteranno che per il resto della traversata spaziale Conrad ride e scherza come se non avessero corso un rischio terribile. Come un personaggio di Ariosto che proprio sulla luna dovesse recuperare il senno perduto.

IL COMANDANTE RIBELLE - Superata la crisi, il tocco di follia del comandante può lasciare il segno in altri modi, meno drammatici. È ancora il confronto con Neil Armstrong a determinare un aneddoto tra i più curiosi delle spedizioni lunari. Nei racconti di chi li ha conosciuti entrambi, tra Armstrong e Conrad sembra un po' di rivedere la distanza antropologica tra il freddo Niki Lauda e l'istrionico James Hunt descritta in un altro film di Ron Howard, Rush. Conrad, nato nel 1930 a Philadelphia, ha superato un'infanzia in cui la dislessia (allora non molto nota) aveva indotto alcuni insegnanti a ritenerlo poco intelligente. Li smentirà laureandosi a Princeton in ingegneria aeronautica. Ma è anche uno spirito ribelle. A meno di 30 anni entra nelle selezioni della Nasa per il primo gruppo di astronauti, ma non sopporta i test fisici e psicologici troppo invasivi. Reagisce varie volte in maniera provocatoria, come quando consegna un campione di feci dentro una scatola regalo con un nastro rosso. O abbandona sulla scrivania di un ufficiale la sacca con i liquidi del suo clistere. Prima di esser fatto fuori dalla commissione, se ne va spontaneamente. Eppure nel 1962 si fa convincere a ritentare la selezione per un secondo gruppo di astronauti, e stavolta entra alla Nasa. Ma senza perdere l'attitudine dissacrante (dopo aver stabilito il record di otto giorni nello spazio come pilota della Gemini 5, definirà la navicella "una pattumiera volante"). Così nell'autunno 1969, mentre si avvicina il lancio dell'Apollo 12, Pete ripensa al motto solenne pronunciato dal collega al momento di mettere piede sulla luna: "Un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l'umanità". Probabilmente lo trova troppo retorico, forzato. Anche lui vuole preparare una frase per l'allunaggio, ma nel suo stile. Di fatto una parodia di Armstrong, giocata sulla differenza di statura (Conrad era più basso). Ne parla con Oriana Fallaci, che da tempo seguiva le vicende della conquista dello spazio ed era amica di molti astronauti. Lei non crede che Pete possa prendersi una simile libertà, è convinta che anche la frase di Armstrong fosse dettata dalla Nasa. Conrad scommette con la giornalista italiana 500 dollari sul contrario. E quando scende dal modulo lunare vince la scommessa: "Whoopee! Gente", urla al Mission Control, "sarà stato un piccolo passo per Neil, ma per me è piuttosto lungo".

QUEL BAMBINO MAI NATO - Anni dopo rivelerà di non aver mai riscosso i 500 dollari. Anche perché con Fallaci arriva presto una rottura personale durissima. Nata da discussioni politiche, pare, ma così aspra da rafforzare la convinzione diffusa che tra i due ci fosse più di un'amicizia. Addirittura qualcuno ha ipotizzato che Conrad fosse il padre del "bambino mai nato" a cui Oriana Fallaci dedicò la celebre Lettera pubblicata nel 1975, ma scritta (in inglese) negli anni '60, quando l'inviata dell'Europeo trascorse lunghi periodi a stretto contatto con l'ambiente Nasa. Secondo altri invece il padre sarebbe sì un astronauta, ma Jim Lovell. Il comandante dell'Apollo 13, quello interpretato da Tom Hanks. Quello di "Houston, abbiamo un problema", la tragedia sfiorata per un'esplosione a bordo, lo storico rientro dell'equipaggio sulla terra grazie alle istruzioni del Mission Control. Curiosità: diede una mano decisiva al salvataggio un tecnico che non era in servizio al momento della deflagrazione ma fu richiamato subito, un ingegnere texano ancora giovane ma già esperto di decisioni vitali in tempi ristretti. John Aaron, uno degli eroi dimenticati dell'Apollo 12.
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