Se si parla di cucina molecolare, immediatamente, da neofiti, vien da pensare a strane alchimie culinarie. Succede quando ci si ferma agli slogan oppure ai "sentito dire" e si immaginano piatti che puntano più a colpire l’occhio dell’osservatore – occhio che comunque vuole la sua parte, ricordiamocelo - che le papille gustative. Viceversa, cucina molecolare significa prima di tutto venire a contatto con un metodo estremamente moderno e allo stesso tempo legato alla tradizione di intendere la preparazione dei cibi.

Un concetto che ritroviamo continuamente nelle poco più di cento, densissime pagine che compongono il volumetto L’essenza dell’invisibile (Compagnia Editoriale Aliberti, 2018, Euro 12, pp. 119). Un libro per capire a fondo la cucina molecolare scritto da un esperto in materia Ettore Bocchia, Executive Chef al Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, sul lago di Como, e vero iniziatore di questo tipo di cucina in Italia. Una cucina che si basa su cose estremamente concrete come conferma proprio Bocchia: "In una pentola di abbondante acqua salata mettere una porzione di spaghetti artigianali. Mettere una padella sul fuoco, versare un po' di olio d'oliva e poi aggiungere il basilico. Aggiungere una salsa al pomodoro classica già ridotta… questa è cucina molecolare".

Ma questa non è la cucina della nonna?

"Certo, la cucina molecolare si propone di sviluppare nuove tecniche e di creare nuovi piatti restando saldamente fedele ad alcuni semplici principi. Per esempio, ogni novità deve ampliare, non distruggere, la tradizione gastronomica. Poi le nuove tecniche e i nuovi piatti devono valorizzare gli ingredienti naturali e le materie prime di qualità. Ci deve essere attenzione ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia, non solo agli aspetti estetici e organolettici. Infine, la cucina, per essere innovativa, si deve basare sulla conoscenza delle proprietà fisiche e chimiche degli ingredienti".

Niente di campato per aria quindi...

"Infatti, il libro è nato proprio dal desiderio di far capire cosa si nasconde veramente dietro l’espressione cucina molecolare, un’espressione spesso abusata e utilizzata a sproposito. Quindi nel volume descrivo per ogni ingrediente e prodotto cosa è importante, che differenza c’è tra ingrediente e prodotto, parlo di tecniche di degustazione e di come disporre un piatto, le logiche geometriche e cromatiche per prepararlo. Insomma, fornisco le basi che consentono di accostarsi alla cucina molecolare e capire poi cos’è, come è nata e costa sta diventando".

Dove sta andando la cucina molecolare?

"La cucina del futuro si baserà sulla comprensione di quello che si sta mangiando. Sarà ritrovare quella che io chiamo l’autentica essenza dell’invisibile, il sapore che dà piacere, quella sensazione impalpabile che scatta mettendo un determinato cibo in bocca. Per questo buona parte del mio lavoro oggi si basa sulla ricerca del prodotto. Un prodotto che non può essere omologato e industriale come capita sempre di più".

È così difficile trovare prodotti di qualità?

"Difficilissimo. Oggi l’offerta è enorme, ti trovi magari branzini di venti provenienze diverse però il palato deve essere allenato a riconoscere il prodotto di qualità. Se uno mangia sempre branzino d’allevamento una volta che gli viene proposto un branzino selvatico condito con un filo d’olio rischia di pensare che si tratti di un piatto da poco. Non ne coglie il gusto, non coglie le differenze".

Cosa manca ai nostri palati?

"Mancano la cultura gastronomica, l’abitudine alla degustazione, la capacità di cogliere l’invisibile che c’è in determinati prodotti e ingredienti e che ti restituisce emozione pura. La cucina diventa arte quando mangi qualcosa che ti fa vibrare dentro, a mio parere".

Come si costruisce questa cultura?

"Bisogna tornare alla terra, sapere che concime è stato usato nei campi, se il seme è naturale o da laboratorio, che mangimi sono usati per gli animali. Se non si hanno queste conoscenze su cosa mettiamo in bocca, è impossibile avere una cultura alimentare".

Però in Italia non siamo avvantaggiati in ambito alimentare?

"Veramente no, trovare l’alta qualità è veramente complicato. Abbiamo eccellenze a chilometro zero, ma sono cose di nicchia, quantità limitate. L’agricoltura e l’allevamento di alta qualità non sono economicamente sostenibili per le aziende agricole italiane. In Italia non c’è nessuno disposto a pagare veramente il lavoro degli agricoltori. E se c’è un prodotto d’eccellenza, viene direttamente opzionato da compratori stranieri, disposti a pagare di più, e non arriva neppure sul mercato italiano".

Le cose vanno meglio in altri Paesi?

"In Spagna stanno facendo cose egregie in ambito agricolo e lo stesso in Francia. Ma non hanno la nostra burocrazia e neppure il carico fiscale e il costo del lavoro che abbiamo noi e che rende tutto troppo complicato".

Il libro è un punto di arrivo o di ripartenza?

"È un punto fermo. È la certificazione del lavoro fatto. Come scrivo è il racconto del mio modo di rapportarmi al mio lavoro, un modo che pratico da quarant’anni. La mia più grande soddisfazione è quella di essere diventato il 'motivo' delle emozioni di chi gusta i miei piatti. Quando i miei clienti mi dicono che nel mio ristorante si mangia 'come una volta' significa che hanno trovato nei miei piatti l’invisibile, anzi l’essenza dell’invisibile che permette di emozionarsi e di vibrare assaporando cibo".
© Riproduzione riservata