"Cara Unione

sono il marito della 'Signora R. B.', malata di mieloma multiplo (di cui si è discusso nella conferenza stampa indetta dall'Adiconsum, Ail, Cittadinanzattiva, Le Belle Donne, komumque Donne, e riportato questi giorni sulla stampa), alla quale è stato negato il diritto a vivere (le "redini" della Sanità Sarda di Cagliari hanno così deciso).

La salvezza consisteva nell'eseguire i primi trattamenti all'Ospedale San Francesco di Nuoro, centro abilitato a prescrivere un farmaco di ultima generazione che le avrebbe consentito di continuare a vivere per più tempo. Aveva iniziato a Nuoro per qualche mese, con la rassicurante prospettiva di poter poi proseguire a Oristano, e aveva constatato con gioia il considerevole miglioramento avuto con quella terapia.

Dovevamo alzarci alle quattro del mattino. Poi, il tempo per prepararci, viaggiare in macchina con attenzione, ed essere lì alle sette/otto per gli esami del sangue. Dopo un paio d'ore s'iniziava la somministrazione in vena, attaccata alla flebo per cinque o sei ore.

Le portavo un cappuccino e un tramezzino perché non c'era la mensa. A onor del vero, non voleva altro (sarà che la chemio non stuzzica tanto l'appetito?).

Io, invece, facevo la spola su e giù, a chiedere come stava, accompagnarla in bagno e, durante le otto ore dell'attesa, bere caffè, da un bar all'altro (forse li bevevo perché ero un po' agitato, e dovevo star lucido per il rientro). Ma alla fine della chemio, il calvario non finiva lì. Non si teneva in piedi e dovevo sorreggerla per arrivare alla macchina.

Alle 18 arrivava a casa esausta. Rimaneva solo il problema di dover ingurgitare la consueta dose giornaliera di una decina di farmaci, senza però poter osservare il giusto intervallo tra un farmaco e l'altro. Era massacrante. Per lei che ha 77 anni, ed anche per me che ne ho 83.

La Sanità (si fa per dire) della Sardegna ha poi proibito al reparto oncoematologico di Oristano anche la sola somministrazione in vena (oltre alla prescrizione) per mia moglie del farmaco salvavita. Dicono che per forza deve andare a Nuoro. Anche se a Oristano c'è un eccellente reparto, con competenze, puntualità, umanità dei medici e infermiere; di un livello che non abbiamo mai visto altrove. Esiste da 11 anni ed è diretto amabilmente dal dottor Casula.

Mia moglie è psicologicamente provata, molti anni fa è stata operata a cuore aperto, ha uno scompenso cardiaco, e questa malattia le ha causato la frattura spontanea di una vertebra con uso del busto. Poi ha avuto un'epistassi durata 12 ore, e ancora, un tremendo linfoma e, per due volte, la broncopolmonite. Basterà?

Mi dice che vorrebbe andarci a Nuoro, ma non può. Per lei i danni della trasferta sono maggiori dei vantaggi. Ora sono tre mesi che ha interrotto quella cura e il medico dice che c'è d'aspettarsi la progressione della malattia. Non ce la fa più. Non può andare a Nuoro, chissà per quanto tempo dovrebbe andarci, con neve o ghiaccio.

Sappiate però che è così che si amministra la Sanità: quando il vecchio muore, la Sanità risparmia! Per le prossime elezioni io proporrò di votarli (se sarò ancora vivo). Al mio posto, qualcuno potrebbe augurare loro che gli venisse l'accidente che ha avuto mia moglie. Così riuscirebbero a comprendere lo stato fisico e psichico in cui si trova chi sulla propria pelle è provato come mia moglie; io però non lo faccio.

Spero solo di poter sapere in futuro a chi indirizzare le mie 'preghiere'".

R.C. - Oristano

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