Cara Unione, 

premetto che sono un cittadino cagliaritano che paga oltre 450 euro di Tari all’anno. Mi sembra una somma tanto discreta da permettermi di poter chiedere un servizio di gestione dei rifiuti efficiente. Invece no, sono qui a raccontare la mia giornata (le mie giornate) tra isola ecologica e ecocentro.

Succede che dovevo smaltire sei cuscini di un vecchio divano, del cartone,  del vetro rotto di alcuni vecchi quadri e alcuni libri inutilizzabili.  Prima tappa, isola ecologica di Pirri. Solo con vetro (una bustina),  cartone (due scatole) e libri (una busta di quelle resistenti da supermercato).  

Prima di proseguire: gli addetti dei vari centri sono stati gentili, tutti, e finanche solidali. Quindi il problema è a monte.  

Pirri, dicevo. Risposta: no, qui il cartone non si può buttare. No, qui il verto non si può buttare. Il primo non è carta, anche se quando ne conferiscono minori quantità sotto casa lo ritirano con la carta. E il secondo è indubitabilmente vetro. Ma, colpa mia, è considerato indifferenziato. Primo risultato: posso lasciare solo qualche libro, ed erano anche troppi. Mi consigliano di andare a Sant’Elia. «E via San Paolo?», chiedo. Risposta: «Se non riattivano l’inceneritore anche quella è isola ecologica, non ecocentro, quindi funziona come qui». Quindi: praticamente serve quasi a niente. 

Guardo l’orario. L’ecocentro  di Sant’Elia chiude alle 20, sono le 19,10. Me la tento. Faccio un po’ di fila, non tanta per la verità. Poi tocca a me. L’addetto guarda l’auto: «Signori, gli ingombranti domani, hanno già portato via il cassone». E quindi? «Quindi domani». Chiedo se posso lasciare almeno il cartone. Mi viene concesso. Poi mi spiegano: «Venga domani mattina. Ma non alle 8», che sarebbe l’orario di apertura, «ma alle 9 o 9,30. Così è sicuro di trovare il cassone». Loro non hanno nessuna colpa. Accetto. Vado via. 

L’indomani mattina dovrei lavorare, ma ho la macchina carica di rifiuti. Avverto l’ufficio, arriverò un po’ in ritardo. E alle 9,15 l’indomani sono di nuovo a Sant’Elia. Problema: non ci sono solo io. Ci sono numerosi altri cittadini che come me, immagino, pagano la Tari. E devono conferire. Tutti in fila. Io ci resto un’ora tonda. Segnalo che nel frattempo la colonna di auto è stata fatta aprire a mo’ di Mar Rosso per fare spazio a un camion con le insegne del Comune sulla fiancata. «Eh, sa, stiamo lavorando». Io no, non sto lavorando anche se dovrei. Ma ha senso litigare? Forse sì, ma mi adeguo. 

Dopo lunga attesa tocca a me. Entro con l’auto. L’addetto – diverso da quello della sera prima – guarda il materiale: «Eh, no, mica possiamo prendere tutto. Al massimo cinque pezzi». Io ho più cuscini, oltre al vetro. «Nessuno mi ha detto niente», dico con la serenità di un Budda hippy a un concerto dei Jefferson Airplane. «Eh, che le devo dire? Stanno facendo controlli. Prima si potevano buttare, tipo, cinque legni e cinque altre cose. Ora tre più due». Devo tornare a casa con l’auto ancora piena (quasi) e prendermi altre ore libere da lavoro?  

Si fa largo l’umanità: «Senta, vada su e veda». Alla fine il cassone degli ingombranti era vuoto e mi è stato concesso di buttare quanto dovevo. La mancata rabbia ha pagato. E mi è stato detto, di nuovo: «Guardi che se non attivano l’inceneritore peggiora ancora eh». 

Comune, ma cosa è questa storia dell’inceneritore? Coi miei 450 euro annuali, sommati a tutti quelli dei miei concittadini, devo davvero avere un sistema per il quale non solo pago, ma devo anche fare il lavoro degli altri, tra raccolta e conferimento? Un po’ mi fa schfo.  

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