Atre mesi dalle elezioni presidenziali Usa (si vota martedì 3 novembre), la partita sembra già chiusa. Secondo tutti i sondaggi, il candidato democratico Joe Biden ha un vantaggio su Donald Trump che va dall'8 al 12 per cento dei consensi popolari. Però... "È qualcosa che vi suona familiare? Dovrebbe", ha avvisato di recente sulla Cnn Michael Smerconish, popolare anchorman televisivo ed editorialista politico. Perché - era il senso della sua provocazione - quattro anni fa, a questo punto, i sondaggi erano quasi altrettanto sbilanciati in favore di Hillary Clinton, che gareggiava contro Trump per la successione di Barack Obama alla Casa Bianca. Si sa com'è finita. È particolarmente interessante confrontare le rilevazioni di allora e quelle attuali in tre Stati considerati molto contesi e decisivi per la vittoria finale: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Il quotidiano Usa Today ha fatto notare che, nel 2016, "su 104 sondaggi pubblicati che indagarono le intenzioni di voto in quei tre Stati da agosto fino al giorno delle elezioni, 101 davano Clinton vincente, due indicavano una parità, e solo uno (in Pennsylvania) vedeva Trump leggermente avanti". In alcuni casi, la differenza di punti tra i due candidati cadeva all'interno del cosiddetto margine di errore. "Ma ben 15 - riferisce ancora Usa Today - avevano dato Clinton avanti con un vantaggio in doppia cifra", quindi di almeno il 10 per cento. In tutti e tre gli Stati, alla fine, aveva prevalso Trump. In Michigan, per esempio, la media di varie indagini sul voto svolte in diverse settimane dello scorso giugno da parte di diversi istituti per conto di vari committenti (tra cui il New York Times) attribuisce a Biden il 47 per cento delle preferenze dei cittadini registrati nelle liste degli elettori, contro il 36 di Trump. Molto rassicurante per l'ex vicepresidente di Obama: se non fosse che, alle presidenziali precedenti, le interviste condotte tra il 30 luglio e il primo agosto 2016 per conto del Detroit News indicavano Hillary Clinton avanti per 41 a 32, ma nel voto vero di novembre fu battuta con un margine risicatissimo, appena lo 0,2 per cento. Nel Wisconsin il vantaggio attribuito a Clinton ancora tra il 4 e il 7 agosto 2016 era di 9 punti percentuali: 42-33 secondo il sondaggio della Marquette University Law School. Più degli 8 attualmente riconosciuti a Biden dalla stessa Marquette University. Nelle urne Trump superò la rivale dello 0,8 per cento. L'attuale sfidante democratico sembra invece più tranquillo in Pennsylvania, dove secondo la Monmouth University è avanti col 53 per cento contro il 40 dell'avversario; laddove una rilevazione condotta per la Nbc e il Wall Street Journal nel luglio di quattro anni fa considerava Clinton pur sempre vincente con buon margine, ma di "soli" 8 punti (43 per cento a 35). In questo Stato, l'ex First Lady perse con lo 0,7 per cento. Ma proprio in Pennsylvania stavolta i sondaggisti hanno provato a chiedere una cosa in più alle persone intervistate: "Pensate che nella vostra comunità ci siano elettori segreti di Trump?". E il 57 per cento ha risposto di sì, contro il 35 per cento che lo esclude. L'ipotesi che molti americani preferiscano non rivelare nei sondaggi la loro preferenza per Trump è una di quelle formulate dopo le presidenziali del 2016, per spiegare il netto fallimento delle previsioni della vigilia. Va detto che, in realtà, Trump aveva vinto ma la maggioranza degli elettori aveva scelto Hillary Clinton: nel conto totale dei singoli voti, infatti, la candidata democratica ne aveva ottenuto quasi 3 milioni in più, pari a un distacco del 2,1 per cento (65,8 milioni contro 62,9).

Ma questo conta poco, nel meccanismo elettorale americano. Il candidato che prende anche un solo voto in più in uno dei 50 Stati della confederazione, si aggiudica tutti i grandi elettori di quello Stato. A Trump è bastato prevalere di poco in molti "swing States", quelli in bilico tra i repubblicani e i democratici, mentre alla sua rivale non è servito a niente aggiudicarsi alcuni Stati con grande margine. Ecco perché devono essere presi con le molle anche i sondaggi che misurano l'orientamento di tutta la popolazione statunitense nel suo insieme. Biden è in vantaggio 51-40 nella rilevazione Nbc/Wall Street Journal, 47-37 per Ipsos/Reuters, addirittura 52-37 per la Quinnipiac University. Ma anche Hillary Clinton era nettamente avanti, seppure con scarti inferiori: 4 punti percentuali secondo Abc/Washington Post (47-42), 5 per Nbc/Wall Street Journal, 7 per Cnn/Orc. Questo non vuol dire che Biden non sia effettivamente favorito nella competizione contro il presidente in carica. "Potendo scegliere, sempre meglio essere Biden che Trump, in questo momento", ha comunque ammesso Michael Smerconish (considerato un tempo vicino ai repubblicani, e indipendente da una decina d'anni a questa parte). Ma tre mesi sono abbastanza per ipotizzare che la situazione cambi radicalmente. Certo, ci sono alcune ragioni per pensare che stavolta chi ha vinto a sorpresa nel 2016 abbia più difficoltà a sovvertire i pronostici. In questa fase la presidenza Trump gode nel complesso dell'approvazione del 40 per cento degli americani, mentre il 55 per cento la disapprova. Questo porta a un differenziale pari a meno 15: è un parametro molto considerato dagli analisti americani, perché nessun presidente ha mai ottenuto la rielezione con dati simili.

L'unico capace di rimontare un differenziale pesante (ma di soli 6 punti) fu Harry Truman nel 1948. I successivi presidenti che non ottennero la rielezione, ossia Gerald Ford, Jimmy Carter e George Bush padre, in media viaggiavano sul meno 13. Ma soprattutto, a preoccupare Trump e i suoi sostenitori c'è il fatto che la gestione dell'emergenza coronavirus sembra far calare ulteriormente il favore verso l'inquilino della Casa Bianca. È presto per capire se sortirà qualche effetto la svolta degli ultimi giorni, quando Trump ha abbandonato l'atteggiamento di sottovalutazione del pericolo Covid. Per ora continua a perdere terreno: tanto che Philip Rucker, sul Washington Post, ha scritto di recente che "col crollo di Trump nei sondaggi, i democratici confidano in uno tsunami a novembre". Però il solito Smerconish, nella sua striscia quotidiana sulla Cnn, ha fatto notare che quasi nella stessa data, quattro anni fa, Rucker aveva scritto, sempre sul Post: "Nell'ultimo sondaggio il sostegno per Trump è crollato, dando a Clinton un vantaggio in doppia cifra". "Anche questo", ha concluso Smerconish rivolgendosi ai suoi telespettatori, "non vi suona familiare?".
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