Grazia Deledda, i segreti rivelati nelle pagine di “Canne al vento”
Il romanzo capolavoro ispirato alla vita tribolata delle dame Nieddu-Angioi, le amiche di Galtellì che non perdonarono la scrittricePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Il prossimo sarà l’anno del centenario dell’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura a Grazia Deledda. E mentre a Nuoro è già stato avviato il programma delle celebrazioni, è bene ricordare il capolavoro della produzione narrativa della scrittrice, quel “Canne al vento” che è stato carne viva prima ancora di tramutarsi in una trama avvincente. Il romanzo, pubblicato nel 1913, racconta di una famiglia di aristocratiche decadute – le dame Ruth, Ester e Noemi Pintor –, personaggi letterari ispirati alle sette sorelle Nieddu-Angioi - Agostina, Margherita, Anna Maria, Gaetana, Filomena, Francesca e Pietra – legate alla Deledda da una grande amicizia, almeno fino al momento in cui queste ritrovarono nelle pagine di “Canne al vento” parte della dolorosa storia di famiglia, i segreti confidati alla scrittrice che da ragazza trascorreva lunghi soggiorni estivi a Galtellì, ospite nella loro casa.
La storia della sorella scappata in Continente, la nostalgia per la ricchezza perduta sotto le grinfie dell’usuraia, il servo fedele fino alla morte. Spunti di realtà conditi con la fantasia della romanziera, ma tanto bastò perché sopra Grazia Deledda cadesse l’odio mortale dell’amicizia tradita. «Ih, quella bugiarda», ripeté fino alla morte donna Pietrina Nieddu, classe 1872, spirata a 87 anni nel 1959. Nelle vicende di Ruth, Ester e Noemi – più il fantasma sempre evocato di Lia, quella che se n’era scappata in Continente per amore –, la nobildonna e le sue sorelle scorgevano i rimandi della propria storia.
Eppure, hanno raccontato qualche anno fa le nipoti delle dame, «era tutta fantasia. Non c’è mai stata una che sia fuggita per inseguire un uomo. L’unica ad aver lasciato il paese fu Filomena, che in famiglia chiamavano Mena. Sposò uno molto ricco di Torino, l’ingegner Preve che era venuto in Baronia per progettare i ponti. Si innamorarono, lui ne chiese la mano e dopo le nozze si trasferirono in Piemonte».
Quando “Canne al vento” venne pubblicato, nel 1913, nessuno a Galtellì ne seppe nulla. Figuratevi un paese di contadini, dove la vita scorreva lenta e sempre uguale proprio come l’aveva colta la scrittrice che fino a tre lustri prima vi trascorreva ogni anno l’estate in villeggiatura, invitata da Agostina e Margherita Nieddu, maestre elementari nelle scuole comunali di Onifai, Irgoli e Orosei. «Si erano conosciute tramite le rispettive cugine di Nuoro», è il racconto delle eredi. «Grazia Deledda arrivò a Galtellì perché voleva conoscere gli usi e i costumi del paese». E invece raccontò la storia di una famiglia.
La nostalgia per l’antica ricchezza perduta, per esempio, c’era veramente stata. «Le dame erano benestanti, anche perché in casa c’erano gli stipendi di Margherita e Agostina. Ma sicuramente avevano patito un crollo finanziario, per quale motivo non si sa». Di loro si sa soltanto che erano di Nuoro e che arrivarono a Galtellì - dove la famiglia possedeva terre, servi e case - dopo la morte dei genitori. Si sa che, a parte Pietra, Anna Maria e Filomena, nessuna accettò mai la corte di un uomo. «Non ebbero il coraggio di dire sì», spettegolò il poeta Sebastiano Satta, loro parente.
Le dame vennero a conoscenza di questa storia del romanzo soltanto un anno dopo la pubblicazione. Prima arrivò alle orecchie di Agostina e Margherita, messe sull’avviso da certi amici importanti di Sassari e dai parenti Satta-Angioi di Nuoro. Poi giunse la lettera di Filomena, da Torino. Deve averlo ricevuto lei, il colpo più grande. Insomma, era la moglie di un ingegnere, frequentava i salotti buoni dell’ex capitale del Regno, e nel romanzo veniva descritta come una fuggitiva, una peccatrice scappata via di casa. «Zia Mena si arrabbiò moltissimo», hanno confidato le nipoti.
A Galtellì la voce corse presto di bocca in bocca, e potete capire che - in un paese dove solo pochissime persone sapevano leggere e scrivere - l’onda del pettegolezzo non era certo legata al numero di copie vendute del romanzo. Ben presto anche le servette meno pettegole raccontavano in giro che la casa descritta in “Canne al vento” era quella delle dame, e che dentro c’erano i servi, la terra vicino al fiume (quella del canneto che dà il nome alla storia, che ancor oggi si chiama “Sa tanca ‘e su canonicu”), i pretendenti che venivano messi alla porta, il ricordo della ricchezza perduta, l’ombra dell’usuraia, una sorella fuggita in Continente.
«Ih, quella bugiarda», ripeteva donna Pietra, ormai cieca, fino all’ultimo giorno. È morta nel 1959, a 87 anni, quando già le avevano detto che la storia di famiglia era diventata anche un film. «Quando uscì “Canne al vento” e lo proiettarono in piazza, nonna volle ascoltarlo», raccontano le nipoti. «Quanto si arrabbiò. “Bugiarda, bugiarda”, diceva».
È rinato il paese, grazie ai segreti svelati e a un’amicizia tradita. Tutto l’anno le guide accompagnano i turisti lungo il percorso disegnato sulla mappa della Galte di “Canne al vento”, nei vicoli di un centro storico tra i più belli della Sardegna. Nel 2013 l’amministrazione guidata dall’allora sindaco Renzo Soro conferì pure la cittadinanza onoraria alla scrittrice Premio Nobel. «Le siamo riconoscenti», spiegò il primo cittadino. «Ha fatto conoscere Galtellì al mondo». Donna Pietra, dal cielo, avrà perdonato.
