La fine del 2025 potrebbe segnare uno spartiacque nella storia delle regole digitali di tutto il mondo. La scelta dell’Australia di imporre lo stop ai social media per chi ha meno di 16 anni apre scenari nuovi davanti all’uso fuori controllo degli smartphone tra le fasce più giovani. L’entrata in vigore della legge “Social media minimum age” traccia la strada che potrebbe presto trasformarsi in un modello globale. I colossi come Instagram, TikTok, Facebook e YouTube non possono più far finta che il problema sia solo delle utenze finali: sono chiamati a un intervento attivo per rispondere alla direttiva di Canberra. Devono disattivare realmente gli account degli adolescenti nati dopo il 2009, attraverso strumenti adeguati di verifica dell'età: diventano fondamentali il riconoscimento biometrico e gli algoritmi in grado di valutare se dietro gli schermi si nascondano navigatori giovanissimi. Le multe per le Big Tech inadempienti sono calibrate su cifre pesanti, fino a 50 milioni di dollari australiani (circa 28 milioni di euro). Il governo guidato da Anthony Albanese ha disegnato il provvedimento (poi varato dal Parlamento federale australiano) con l’appoggio di molte associazioni di genitori.

Il principio ispiratore arriva da una consapevolezza allarmante: gli effetti dei social sono considerati sempre più spesso tossici e pericolosi per la salute mentale e il benessere dei più giovani. Dalla distorsione dell'immagine corporea al cyberbullismo, dalla presenza di contenuti misogini fino al rischio di adescamento online: secondo i principi ispiratori della legge i pericoli supererebbero di gran lunga i benefici percepiti con l’utilizzo dei social. L'obiettivo dell’iniziativa australiana è di provare a "restituire l'infanzia" ai bambini, offrendo al tempo stesso ai genitori una maggiore serenità e un appiglio per fermare l’offensiva digitale dentro casa. La mossa non sembra un isolato esercizio di sovranità, perché potrebbe aprire nuovi scenari in tutto il mondo. Tama Leaver, docente di studi su internet della Curtin University di Perth, ha parlato di «reazione a catena che deriverebbe dal provvedimento australiano». È come «il canarino nella miniera», capace di rilevare i gas tossici e aprire la strada verso la salvezza.  L’offensiva social fuori controllo viene vista come un fenomeno negativo e nocivo nei confronti dei più giovani, ancora privi di strumenti in grado di filtrare e giudicare le innumerevoli declinazioni del mondo digitale. Diverse nazioni europee (tra cui Francia, Grecia, Romania, Danimarca) stanno valutando restrizioni sull’accesso degli adolescenti alle piattaforme social. Anche negli Stati Uniti il dibattito è acceso: alcuni governi - in Florida, Texas, Arkansas, Louisiana - hanno già imboccato  la strada delle limitazioni sull'uso degli smartphone tra i minori, rendendo anche più marcato l’obbligo di consenso dei genitori. Nessuno però ha ancora avuto un approccio così netto come come quello in Australia. La sfida è enorme e soprattutto in salita. I grandi network sono i difficoltà perché l'obbligo di «adottare misure ragionevoli» per bloccare l'accesso si scontra con i problemi sulla verifica dell'età: il processo è complicato anche per le questioni di privacy. E i divieti possono essere aggirati con molti stratagemmi (come la creazione di profili falsi con l'aiuto di adulti o il ricorso al “Vpn”, il sistema di protezione dell’attività online).

II dibattito sta rimbalzando anche in Italia, dove il rapporto tra adolescenti e smartphone è diventato un'emergenza sociale e sanitaria. I dati sull'uso dei dispositivi sono preoccupanti: i giovanissimi trascorrono in media sei ore al giorno davanti allo schermo, superando nettamente i limiti raccomandati dagli esperti e soprattutto dall’Organizzazione mondiale della sanità. Questa iperconnessione si traduce in disturbi del sonno, aggressività, calo del rendimento scolastico, fino a un progressivo isolamento. Il nesso causale diretto tra social e disturbi d'ansia o depressione è ancora oggetto di studio, ma molte ricerche rivelano un aumento significativo del disagio psicologico tra le fasce più giovani, in stretto collegamento con l’utilizzo delle piattaforme digitali.

 L'età in cui i bambini ricevono il primo smartphone e accedono ai social media è sempre più bassa, spesso si comincia ben prima dei 13 anni (il limite minimo teorico imposto dalla maggior parte delle piattaforme). L'Italia, pur essendo all'avanguardia nel rispetto di normative come il “Digital services act” (Dsa) europeo, che impone obblighi di sicurezza e privacy specifici per i minori, è ancora lontana da una misura così drastica come il divieto totale dei social per chi ha meno di 16 anni. L'esperimento australiano rappresenta dunque un banco di prova da seguire con attenzione. Se questa scelta così drastica dimostrerà una reale capacità di proteggere la salute mentale dei giovani, allora diventerà difficile giustificare l'inerzia normativa degli altri Paesi, Italia compresa. La posta in gioco è altissima: diventa indispensabile tracciare la strada giusta per proteggere un'intera generazione, quella che rischia di perdere la percezione della realtà, minata da una presenza digitale eccessiva e senza regole.

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