Un pesticida alleato delle api. Una contraddizione in termini sembrerebbe. È invece non è altro che l’ultima, inaspettata, arma creata in laboratorio dalla ricerca più moderna (italiana) per salvare le piccole regine del miele, protagoniste fondamentali della sopravvivenza del genere vegetale e di conseguenza di quello umano. L’Ente di ricerca nazionale, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, ha messo a punto un innovativo biopesticida che protegge le api, sfruttando molecole che esercitano un controllo naturale sugli organismi infestanti. «Negli ultimi 10-15 anni, gli apicoltori europei hanno segnalato un’insolita diminuzione del numero di api e perdite di colonie, in particolare nei Paesi dell’Europa occidentale, tra cui l’Italia. Un fenomeno che ha diverse cause, come l’agricoltura intensiva, l’uso di pesticidi, la perdita di habitat, i virus ma anche gli attacchi di agenti patogeni e specie invasive come l’acaro Varroa destructor, da anni presente in tutta Italia», ha spiegato Salvatore Arpaia, ricercatore della Divisione Enea di Bioenergia, bioraffineria e chimica verde. «A quest’ultima specie – continua il ricercatore - si sono poi aggiunti di recente il calabrone asiatico Vespa velutina e il piccolo coleottero dell’alveare Aethina tumida che, al momento, ha una diffusione territoriale circoscritta alla parte più meridionale della Calabria. E abbiamo testato il nostro innovativo biopesticida proprio in questa regione, presso la sezione dell’Istituto Zooprofilattico di Reggio Calabria, dove il coleottero viene mantenuto in allevamento sottoposto a stringenti misure di contenimento».

Chimica “verde”

Questa volta parlando  di “chimica verde” non si rischia di cadere in imbarazzanti contraddizioni. Infatti, alla base del nuovo “antiparassitario” ci sono le biotecnologie che sfruttano un meccanismo naturale presente in organismi vegetali e animali per portare alla perdita di funzionalità un gene bersaglio, fondamentale per la sopravvivenza o la fertilità dell’insetto.

«I risultati ottenuti indicano chiaramente che la somministrazione per ingestione del nostro biopesticida, che si avvale dell’azione di molecole di RNA a doppio filamento specifiche contro due geni di Aethina tumida, induce effetti anti-metabolici sullo sviluppo e sulla riproduzione del coleottero. Infatti, le larve alimentate con dieta contenente le molecole che abbiamo sintetizzato nei nostri laboratori Enea di Trisaia, in Basilicata, soffrono di un decremento nel tasso di sviluppo, di un rallentamento nel ciclo biologico e, da adulti, di una sensibile riduzione della fertilità. La coesistenza di questi tre effetti in una popolazione in natura porta a un prevedibile rapido contenimento dei danni del coleottero a carico dell’alveare, della produzione apistica, senza alcun rischio per l’ambiente e per l’uomo», sottolinea Arpaia.

Attesa

La ricerca non è comunque terminata. «Per valutare la possibilità di effetti off-target sulle api, sarà necessario procedere a una successiva prova in vivo, anche se le evidenze disponibili in letteratura indicano che l’ape è generalmente poco sensibile al silenziamento genico indotto dalle molecole che abbiamo utilizzato», conclude il ricercatore Enea.

Il piccolo coleottero dell’alveare è una specie originaria del Sud Africa ed endemica delle regioni tropicali e subtropicali dell’Africa Sub-sahariana; è stata rinvenuta per la prima volta in Europa, in Calabria, nel settembre del 2014. L’insetto è inserito nell’elenco del Codice sanitario per gli animali terrestri della Woah (Organizzazione Mondiale per la sanità animale) come patologia emergente delle api ed è soggetta a notifica internazionale. Inoltre, per contenerne la diffusione in Europa, sono in atto importanti misure restrittive che comportano la cessazione del nomadismo (inclusa la rilevante opera di supporto all’impollinazione in frutticoltura), il commercio delle colonie al di fuori dell’area infestata dal coleottero, il monitoraggio periodico degli alveari e, in molti casi, la distruzione delle colonie.

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