Il giornalismo raccontato, quello dei cosiddetti pezzi di colore, segue un moto ondoso abbastanza regolare, dal centro verso le periferie.

Così quando il Washington Post ha riscoperto la storia dell’alligatore Wally e del signor Joe Henney che lo ha adottato, in breve dal Guardian fino alle agenzie di stampa è rimbalzata su più di una testata per approdare su quelle italiane e dare un tocco di levità alle pagine listate a lutto dalla guerra e dall’inflazione. Come spiegava un servizio dell’Ansa del 30 agosto, Wally è un animale da supporto emotivo, che aiuta il suo padrone 69enne a combattere la depressione, lo accompagna ovunque e ricambia baci e coccole. “Quando gira il naso verso di te, significa che si aspetta un bacio. Ha un carattere molto dolce”, racconta Joseph Henney, che vive a Jonestown, Pennsylvania, a circa due ore da Philadelphia. WallyGator lo accompagna quasi ovunque, dal negozio di alimentari alle passeggiate nel parco, guarda la televisione sul divano con lui e dorme anche nel suo stesso letto. Il coccodrillo ha sette anni, è lungo 168 cm e pesa oltre 30 kg. "È un alligatore molto speciale, ma non consiglierei a nessuno di prenderne uno. Se non sai cosa stai facendo, verrai morso”.

Gianni Filippini (foto archivio L'Unione Sarda)
Gianni Filippini (foto archivio L'Unione Sarda)
Gianni Filippini (foto archivio L'Unione Sarda)

Una storia simpatica, nel complesso. Il punto è che non è nuovissima, visto che la stampa (anche quella italiana) ne aveva già dato conto anni fa. Ma soprattutto ci sono dei precedenti piuttosto risalenti. E non c’è bisogno di spostarsi da Cagliari per andarli a ricostruire, visto che il primo ad avere un rettilone come animale domestico (almeno a memoria di cronista sardo) fu Gianni Filippini, storico direttore dell’Unione Sarda. Il suo caimano da salotto popolò una saga sterminata di aneddoti nella scorsa generazione dell’informazione cagliaritana, quasi tutti incentrati sulle reazioni scomposte di chi – invitato per un aperitivo a casa Filippini – vedeva comparire il lucertolone fra un tavolino da tè e un tappeto di pregio. Diciamo che se il vero pregio del gentleman è l’imperturbabilità, il caimano del direttore era un ottimo test sull’uso di mondo degli invitati. Una storia insolita più o meno quanto quella ripescata dalla Pennsylvania, insomma. Che per correttezza è giusto far raccontare al padrone del rettile. O quantomeno al padrone di casa.

Direttore Filippini, come nasce questa storia del rettile da salotto?

È una storia che risale alla metà degli anni Settanta. Mia moglie e io eravamo in viaggio nel Cile meridionale e una notte ci portarono in barca a vedere i caimani. La guida stava a prua e aveva un casco con una luce che serviva a individuarli, perché quando li illumini gli occhi diventano fosforescenti. La ricordo come una cosa piuttosto suggestiva, devo dire. A un certo punto ci imbattemmo in un esemplare piuttosto grande che aveva un caimanino minuscolo posato sul dorso, sembrava una lucertola. Mia moglie chiese alla guida se poteva prenderlo e lui rispose: mi dispiace, signora, ma è vietato: deve almeno aspettare che io mi volti. E si mise di spalle”.

E a quel punto?

“E a quel punto il caimano nascosto nel giubbotto di mia moglie passò un bel po’ di frontiere: il viaggio era lungo, arrivammo in Florida e poi a New York. Finalmente tornammo a Cagliari e mia moglie gli allestì una parte della casa tutta per lui, con una temperatura costante a 40 gradi mentre noi umani stavamo in una zona a 20”.

E se ne stava fermo lì.

“Ma per nulla. La casa ha una pianta a forma di sette e Gaetano…”.

Gaetano?

“Sì, si chiamava così. La mattina Gaetano usciva dalla sua ala e seguiva il sole, slittando sul parquet per seguire le zone illuminate. Poi al tramonto si ritirava nei suoi appartamenti”.

Era difficile da gestire? Avrà avuto una dieta particolare.

“Non direi: mangiava carne cruda e pesci. Comunque era mia moglie a occuparsene. Una volta dovette partire all’improvviso e mi lasciò le consegne, con tutte le buste in frigo con i pasti di Gaetano già pronti. Ma devo confessare che quando era il momento di nutrirlo mi affacciavo nella sua stanza e glieli lanciavo stando a un paio di metri”.

Era aggressivo?

“In realtà no, per nulla. L’unico incidente ci fu con la donna di servizio, che una mattina lo incrociò mentre passava l’aspirapolvere e lui gironzolava inseguendo il sole sul parquet: siccome la intralciava nel suo lavoro ebbe la brillante idea di spostarlo con un piede. Nudo, fra l’altro, visto che aveva le infradito”.

E Gaetano?

“E Gaetano la morsicò. In quell’occasione scoprimmo che quando il caimano azzanna la preda le lascia i denti conficcati, però nel giro di cinque-sei giorni gli ricrescono”.

Un bel sollievo saperlo. Ma la colf?

“Ma nulla, in realtà non le fece male, era un morsetto. Quello che aveva davvero paura era l’incaricato dell’Enel, che non entrava a leggere il contatore se prima non gli giuravamo che Gaetano era chiuso a chiave”.

È anche comprensibile: sarà stato un bestione.

“Non proprio, arrivò a un metro e venti di lunghezza, più o meno. Devo ammettere che a un certo punto cominciavo a preoccuparmi perché avevo saputo che i parenti di Gaetano, quelli che erano rimasti a casa, arrivavano a superare i quattro metri. E invece all’improvviso cominciò a stare male. Il veterinario provò a curarlo, ma immagino che non fosse un esperto di caimani e di fatto dopo un po’ Gaetano morì. A quel punto mia moglie lo fece imbalsamare e lo consegnò a un negoziante di animali, con l’impegno a tenerlo esposto a futura memoria”.

Gaetano era affettuoso come WallyGator, il rettile da compagnia del signor Henney?

“Con mia moglie sì, appena la vedeva le andava incontro”.

La riconosceva come padrona.

“Direi come interlocutrice. Scherzando dicevamo che siccome Gaetano non era riuscito a imparare l’italiano, si era impegnata lei a imparare il caimanese. E in effetti riusciva a imitare bene quel suono, quello “sniff sniff” che emetteva”.

Avevate altri animali domestici?

“Se per animali domestici intendiamo cani e gatti la risposta è no”.

Mentre?

“Mentre un’iguana sì, per esempio. E abbiamo avuto anche un camaleonte. Ed è vero che cambia colore, sai? Se lo posi sulla camicia bianca impallidisce, se lo metti sulla giacca diventa blu. E poi un grande pappagallo sudamericano. Era un animale strano: stava fermo su un trespolo come se fosse legato. Scendeva giusto per bere e per mangiare e poi risaliva, sembrava rassegnato al suo status di prigioniero. Finché invece un giorno evidentemente si scocciò e spiccò il volo verso quella che pensava fosse una finestra spalancata. Morì schiantandosi sul vetro, poveraccio”.

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