Abbronzatura, che passione. Seducente e rischiosa come una droga. Difficile da resistere, perché la voglia di sole (o in alternativa di lampade abbronzanti) ce la portiamo nei geni. Lo rivela una ricerca del Kings' College London, una fra le più prestigiose università del mondo, pubblicata sull'altrettanto prestigiosa rivista specializzata, il "Journal of Investigative Dermatology". E ripresa anche dalla stampa internazionale, e persino dai quotidiani popolari, come il britannico Mail online, con titoli ad effetto: "La gente che ama il sole ha gli stessi geni che inducono al fumo, alla promiscuità sessuale e alle droghe". La ricerca in realtà giunge a conclusioni più sofisticate. Non ci propone di abbandonare del tutto i bagni di sole e di mare, ma di usare buon senso e moderazione. E servirà a tarare meglio le campagne di sensibilizzazione del pubblico ai rischi di cancro alla pelle. Ce lo spiegano il senior author Mario Falchi, 52 anni, nato a Cagliari, che coordina il team di Computational Medicine al King's College, e la biologa Marianna Sanna, 37 anni, di Nughedu San Nicolò, che al Kings' College ha appena conseguito il dottorato di ricerca nel team di Mario, dopo la Laurea specialistica a Sassari e il Master in Bioinformatica a Cagliari.

"Questo studio fa parte della nostra linea di ricerca sui fattori di rischio per il melanoma", spiega il professor Falchi. "Nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione, molte persone a rischio di melanoma, perché hanno una carnagione molto chiara o un elevato numero di nei, o con familiarità per melanoma, o che magari avevano già sviluppato un melanoma in passato, sembrano non riuscire a limitare la propria esposizione ai raggi UV. Diversi studi, anche su modelli animali, hanno suggerito la possibilità di effetti di dipendenza da raggi UV. Abbiamo pertanto cercato di validare questa ipotesi studiando un campione di più di 250.000 persone, inclusi gemelli, e capire inoltre se ci potesse essere un'influenza genetica". Marianna Sanna, che ha lavorato per oltre un anno su questo studio, ne illustra i dettagli via Internet, dal suo laboratorio da Londra. Che, spiega, ruota intorno a un computer, visto che la sua ricerca "si basa sull'utilizzo di grosse quantità di dati che vengono analizzati con programmi bioinformatici e metodi statistici".

Dottoressa Sanna, la ricerca a cui ha preso parte dimostra che il desiderio di esposizione al sole è legato a un fattore genetico. Ci può spiegare perché?

"Abbiamo confrontato l'attitudine a esporsi ai raggi solari fra gemelli monozigoti (identici) e gemelli dizigoti (fraterni). I gemelli identici condividono l'intero patrimonio genetico, mentre i fraterni solo la metà. In generale, se i gemelli identici sono più simili dei fraterni per qualche caratteristica, questo è molto probabilmente dovuto a fattori genetici. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che i gemelli identici, riguardo alla tendenza ad esporsi ai raggi solari, sono più simili dei gemelli fraterni".

Come siete arrivati a scoprirlo?

"Per prima cosa abbiamo investigato il comportamento di un campione di circa 2.500 gemelli inglesi registrati nella biobanca TwinsUK. Dopo aver scoperto che fattori genetici regolano la tendenza a esporsi ai raggi UV, abbiamo analizzato il Dna di un gruppo molto più ampio, circa 260.000 individui della UK Biobank nel Regno Unito e dell'Harvard Cohort negli USA, per ricercare gli specifici geni coinvolti".

Il vostro studio individua cinque particolare geni legati alla ricerca di esposizione al sole, che sarebbero associati anche a una tendenza verso comportamenti a rischio quali fumo, consumo di alcol e cannabis e rapporti sessuali con molteplici partner. Questo significa che il desiderio/la ricerca di esposizione al sole è un rischio in sé?

"Sì, perché provoca un aumento del rischio di sviluppare tumori della pelle, soprattutto nelle persone che già hanno caratteristiche fisiche di rischio, come la pelle chiara o un elevato numero di nei, o che hanno una predisposizione familiare. Obiettivo della nostra ricerca era capire come mai le campagne di sensibilizzazione sui rischi dell'esposizione solare e dell'utilizzo delle lampade abbronzanti artificiali siano a volte inefficienti, anche su soggetti ad alto rischio o che abbiano già sviluppato un tumore alla pelle in passato".

Questo è vero a qualunque latitudine e per qualunque gruppo umano?

"Il nostro studio include solo persone di origine europea residenti nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Quindi non possiamo generalizzare per quanto riguarda altre popolazioni. Sebbene, osservando le frequenze di questi geni nelle altre popolazioni, sia plausibile assumere che meccanismi di dipendenza ai raggi UV possano esistere anche in altre etnie".

Può esistere un moderato e sano desiderio di esposizione al sole?

"Certamente, l'esposizione solare non è di per sé un fatto negativo. Anzi, ha anche effetti positivi, ad esempio è utile per la sintesi di vitamina D, la cui carenza è stata associata a diverse patologie. L'importante è esporsi al sole con criterio. Sapere che l'esposizione a raggi UV possa essere in alcuni soggetti influenzata da meccanismi di dipendenza può essere d'aiuto nello stimolare maggior autocontrollo nei comportamenti individuali e nel massimizzare l'efficienza e l'impatto delle campagne di prevenzione".

In Italia, e in Sardegna in particolare, che rischi si possono correre per amore dell'abbronzatura?

"Sebbene il nostro tipo di pelle sia meno a rischio di quello delle persone del nord Europa, i casi di melanoma sono cresciuti notevolmente negli ultimi anni. In Italia l'incidenza è di 14 casi per 100.000, ed è aumentata del 16,8% in un periodo di 7 anni".
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