La malattia, la sofferenza e poi il baratro. Quando ci si trova davanti al verdetto impietoso dei medici “non c’è più nulla da fare” si sprofonda nel buio. Sembra un punto di non ritorno ma “c’è ancora da fare”. Lo ripete con convinzione Giuseppe Obinu, medico rianimatore oristanese e coordinatore regionale della Società italiana di cure palliative Sardegna. Da anni impegnato nella terapia del dolore, sa bene quanto sia delicata e importante la missione di tutti coloro che, come lui, “accompagnano i malati ma anche i familiari in quella sorta di via crucis”. Ed è per queste ragioni che insiste sulla necessità delle cure palliative ma soprattutto sull’importanza di creare una rete regionale, ben articolata che ancora oggi manca. “Il diritto alle cure palliative in Sardegna è negato. E manca anche la cultura delle cure palliative sia nella gente sia in chi amministra”.

Giuseppe Obinu (foto concessa)
Giuseppe Obinu (foto concessa)
Giuseppe Obinu (foto concessa)

Le strutture

“Da settimane si sta parlando quotidianamente delle cure palliative, il dibattito si è riacceso partendo da un fatto di cronaca come la chiusura dell’Hospice di Nuoro – sostiene – e non riesco a pensare al dolore del responsabile di quella struttura che si trova costretto a scegliere tra la chiusura dell’Hospice e l’interruzione delle cure domiciliari nella vasta provincia, un territorio fortunatamente abituato ad un servizio di qualità da decenni”. Obinu, che da un anno e mezzo coordina l’Hospice di Oristano (intitolato all’ex sindaca ed ex assessora regionale Angela Nonnis scomparsa due anni fa), tocca con mano ogni giorno le difficoltà “in un territorio in cui le cure palliative si sono affacciate relativamente di recente – osserva - Si rivolge a noi un numero di persone evidentemente più basso di quante ne avrebbero realmente necessità. Sarebbe utile far conoscere il nostro servizio ma ci sarebbe anche un grosso problema da affrontare subito: se tutti coloro che ne hanno necessità ci cercassero, non avremmo i mezzi per esaudirli. Ed è davvero una situazione paradossale”. Secondo Obinu è tutta la Sardegna a trovarsi in questa condizione, ci sono territori in situazioni ancora più difficili dove gli Hospice non esistono. Al momento nell’Isola operano sei strutture dedicate alle cure palliative: tre sono a Cagliari, uno a Nuoro, uno a Oristano e uno a Tempio. “Completamente privi sono il territorio della provincia di Sassari, l’Ogliastra e il Sulcis – osserva il medico – Ed è per questo che all’Hospice oristanese, aperto nel novembre 2019, si rivolgono anche pazienti dal Medio Campidano e dalla zona di Macomer. Inoltre, solo in limitate zone sono garantite le terapie domiciliari, a causa della scarsa dotazione di medici”.

Un quadro allarmante nonostante la Legge 38/2010 impegni il sistema sanitario ad occuparsi di cure palliative. “Quella legge il 15 marzo scorso ha compiuto 11 anni ma sembra che questo periodo in Sardegna sia passato invano - denuncia Obinu - In realtà nel 2019 la Regione Sardegna si è accorta del ritardo nell’attuazione della legge e il 15 gennaio ha pubblicato una delibera con le linee di indirizzo per il rafforzamento della rete delle cure palliative, prevedendo la creazione di una rete regionale e delle reti locali. Da allora son trascorsi altri due anni e ancora non si è visto nulla”. Tutto fermo eppure si tratta di cure essenziali.

Le cure

L’articolo 2 della Legge 38/2010 definisce le cure palliative come “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. Le cure palliative non si traducono solo in farmaci e terapie del dolore, ma comprendono anche i bisogni sociali, psicologici, spirituali ed esistenziali che in questa fase rendono ancor più fragili i malati e le loro famiglie. “Abbiamo un’equipe di base formata dal medico, infermiere, operatore socio sanitario e psicologo – spiega il coordinatore della Sicp Sardegna – a loro si aggiungono un fisioterapista e un assistente spirituale che può essere un sacerdote ma anche un filosofo o chiunque abbia gli strumenti per aiutare ad affrontare il tormento interiore che piò manifestarsi in certi momenti”. Una squadra, dunque, che non offre solo assistenza medica ma dà un sostegno a 360 gradi. “A volte basta soltanto la nostra presenza e vicinanza, far sapere al malato che non è solo – va avanti - rassicuriamo anche i familiari sul fatto che le sofferenze saranno alleviate e che il percorso verso la fine sarà il più dolce possibile. E spesso una volta raggiunto il sollievo, quando il paziente sa che non è più abbandonato al dolore cambia anche l’idea della morte”.

Un capitolo a parte per le cure palliative pediatriche. “Siamo all’anno zero. Eppure bisogna investire per dare questo conforto anche ai più piccoli e ancor di più ai familiari – dice – Le mamme e i papà di bambini con malattie degenerative o altre patologie gravi, spesso si trasformano in assistenti sanitari, sono costretti a imparare a far tutto pur di aiutare i propri bambini. A Oristano abbiamo l’area pediatrica, una sorta di oasi di pace che può durare giorni o mesi”.
 

L’appello

Secondo il coordinatore regionale della Sicp i nove miliardi destinati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il potenziamento dell’assistenza domiciliare e della rete sanitaria territoriale “sono un’opportunità per far partire finalmente e in modo capillare la rete delle cure palliative che la Sardegna non può permettersi di perdere. È necessario aprire gli Hospice dove ancora mancano, non è possibile che abbia assistenza solo chi ha la fortuna di vivere in una determinata zona – rilancia –bisogna dare a tutti gli stessi diritti”.

© Riproduzione riservata