Questa è la storia di un umile servitore della patria, morto a 26 anni per una sola colpa: indagare sull’eversione nera. Era un figlio della Sardegna e della Barbagia, Francesco Straullu, nato il 10 luglio 1955 a Nuoro. Come tanti giovani di allora aveva cercato un futuro nelle Forze dell’ordine, arruolandosi nell’accademia di Polizia nel 1974. Quando morì, quarant’anni fa, il 21 ottobre del 1981, aveva il grado di capitano, promosso nel 1979 dopo essere stato assegnato al raggruppamento di Roma e assegnato alla Digos, dove insieme al suo superiore, il commissario Capo Giorgio Minozzi, aveva lavorato a lungo sul fronte dell’eversione.

Erano anni caldi, anni di piombo. A ucciderlo furono proprio i terroristi neri su cui indagava, insieme ad altri funzionari della Questura e che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottana fecero numerose vittime tra le forze dell’ordine e i magistrati, a iniziare dal giudice Mario Amato, ucciso a Roma nel luglio del 1980 a opera dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, la risposta di destra all’eversione rossa delle Br. Del commando che sparò a bruciapelo al magistrato, colpevole di essersi occupato del terrorismo di matrice neofascista, facevano parte alcuni nomi che poi ricorrono anche nei fatti di Acilia, in cui persero la vita appunto il capitano Straullu e la guardia scelta Ciriaco Di Roma, originario di Avellino.

I fatti

La mattina del 21 ottobre 1981 Francesco Straullu e Ciriaco Di Roma stavano percorrendo la via Ostiense, all’altezza di Ponte Landrone, in territorio di Acilia, per recarsi in Questura. Solitamente utilizzavano un’Alfetta 2000 blindata. Sapevano di essere nel mirino dei terroristi proprio per le delicate indagini che portavano avanti. Il capitano sardo aveva messo a segno alcuni importanti risultati nella lotta all’eversione nera e soprattutto aveva convinto a pentirsi e a collaborare con la giustizia Laura Lauricella, l’ex compagna di Egidio Giuliani, un capobanda detenuto e considerato irriducibile. Questa “conversione” aveva permesso appunto a Straullu di colpire i terroristi che giurarono quindi vendetta nei confronti del capitano nuorese.

Il suo autista, Di Roma, venne costretto a rallentare e la vettura fu investita da numerose raffiche di proiettili traccianti, scelti per poter bucare le pareti blindate. Quel giorno, purtroppo, Di Roma e Straullu viaggiavano invece su una Fiat Ritmo che di blindato non aveva granché, poiché la loro auto non era disponibile, e finirono crivellati di colpi. I loro cadaveri erano irriconoscibili, straziati da proiettili da guerra, tanto che gli stessi terroristi evitarono che l’unica donna che componeva il commando si avvicinasse all’auto, raccontano le cronache di allora. La donna si chiamava Francesca Mambro, un nome importante nel mondo del terrorismo di destra, condannata anche per la strage della stazione di Bologna, accusa però che lei, così come il suo compagno Giuseppe Valerio (Giusva) Fioravanti, ha sempre respinto, ammettendo invece la responsabilità di altri delitti, compreso quello del capitano Straullu. La Mambro, peraltro, così come altri componenti dei Nar (per esempio Luigi Ciavardini) e dei gruppi terroristici di matrice fascista, era figlia di un maresciallo della Polizia, ma questo non pesò affatto sul commando che agì con grande efferatezza e poi concluse la mattinata in un ristorante.

I killer

Del gruppo di fuoco faceva parte il vertice del terrorismo nero di allora: Alessandro Alibrandi, Gilberto Cavallini, Francesca Mambro, Giorgio Vale, Stefano Soderini e Walter Sordi. Non c’era invece Giusva Fioravanti, pur facendo parte dello stesso sodalizio terroristico, che si era fatto notare in numerose azioni dei Nuclei armati rivoluzionari, perché qualche mese prima (il 5 febbraio del 1981) era stato arrestato a Padova, dove venne ferito in seguito a un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. Alessandro Alibrandi, invece, era figlio di un giudice, collega del magistrato Mario Amato, finito sotto il piombo neofascista. Alibrandi morì qualche mese più tardi durante un altro conflitto a fuoco con la Polizia.

L’attentato di Acilia contro i due esponenti della Polizia fu rivendicato con un duro comunicato dei Nar. “Mercoledì 21 ottobre alle 8.50 abbiamo giustiziato i mercenari torturatori della Digos Straullu e Di Roma. Ancora una volta la Giustizia Rivoluzionaria ha seguito il suo corso e ciò resti di monito per gli infami, gli aguzzini, i pennivendoli. Chi ancora avesse dei dubbi circa la determinazione e la capacità dei combattenti rivoluzionari ripercorra le tappe di questo ultimo anno e si accorgerà che il tempo delle chiacchiere è finito e la parola è alle armi”, era scritto nel documento, nel quale si parlava apertamente di vendetta. “Mercoledì, per ultimo, è toccato a Straullu. I suoi misfatti erano ben superiori al già grave fatto di appartenere alla cricca degli aguzzini di Stato…”.

Il ricordo

Oggi, trascorsi quarant’anni dai fatti di Acilia, molti dei componenti di quel commando e del gruppo dirigente dei Nar non sono più in carcere dopo aver scontato la pena. Nel frattempo a Francesco Straullu soltanto nel 2005 venne concessa una Medaglia d’oro al valor civile alla memoria. E nei giorni scorsi, in occasione dell’anniversario dell’omicidio, Straullu e Di Roma sono stati ricordati dal capo della Polizia, Lamberto Giannini, che ha deposto una corona di alloro vicino alla lapide che ricorda il luogo della strage, sulla via Ostiense. “La memoria è importantissima. Per le forze dell’ordine e i servitori dello Stato, il legame con chi è caduto nell’adempimento del proprio dovere non si scioglie mai ed è una guida nei momenti difficili. Il ricordo di chi ha lasciato tutto per fare il proprio dovere va custodito con cura. Per questa ragione sento il dovere di un atto che possa suggellare un sentimento vissuto nei 22 anni che ho passato alla Digos di Roma: rendere fisica la presenza di queste persone ed il fortissimo ricordo del loro sacrificio”, ha detto Giannini.

Il ricordo di Straullu, peraltro, è ancora forte anche a Nuoro, la città che diede i natali al capitano della Digos di Roma. A lui è dedicata anche una via, seppure in periferia, nel capoluogo barbaricino. Un modo per ricordare il sacrificio di un figlio di Nuoro negli anni di piombo, periodo storico a cui la Sardegna, come spesso è accaduto nella storia, ha pagato un alto tributo in termini di vite umane.

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