Sopravvissuto ai lager nazisti, è stato instancabile testimone di quell'orrore che ha raccontato nei numerosi incontri con le scuole, nei convegni e in un libro di memorie. Mario Gesuino Paba, di Aritzo, classe 1924, si è spento il 13 aprile scorso a Torino, dove viveva con la moglie Adriana. Deportato numero 83964, trascorse 700 giorni nell'inferno di Buchenwald, ma prima sperimentò le atrocità dei campi di concentramento di Meppen, Bielefeld, Paderbom, Dortmund. In fila davanti alla camera a gas è scampato per miracolo alla morte.

Il feretro è stato accolto con tutti gli onori, tra l'affetto dei familiari e la stima dei tanti che da Torino a Buenos Aires - dove si era ricostruito un’esistenza e una carriera come ingegnere dopo le drammatiche esperienze - e fino a Aritzo, suo indimenticato paese, hanno imparato a voler bene e stimare questo “eroe del nostro tempo”, come lo ha definito Enzo Cugusi, presidente dell'Associazione dei Sardi “Antonio Gramsci” nel capoluogo piemontese. A Torino – a cura dell'Associazione – è stata allestita la camera ardente in Corso Bramante con la bandiera dei quattro mori ad avvolgere la bara, richiamo alle sue forti radici e l'inno sardo “Procurade 'e Moderare” colonna sonora di una toccante cerimonia seguita da Hallelujah di Leonard Cohen.

Mario Gesuino Paba e Ferruccio Maruffi (foto concessa)
Mario Gesuino Paba e Ferruccio Maruffi (foto concessa)
Mario Gesuino Paba e Ferruccio Maruffi (foto concessa)

Mario Gesuino era un ex carabiniere, si era arruolato volontario nell'Arma a 17 anni, nel 1941. Per questo la legione dei carabinieri con il picchetto d'onore ha voluto essere presente sia a Torino che all'arrivo del feretro all'aeroporto di Cagliari - Elmas e nella chiesa di San Michele Arcangelo, nella sua Aritzo dove si sono svolti i funerali. Alla cerimonia ha preso parte anche la vice presidente della Giunta regionale Alessandra Zedda. "Mario Gesuino Paba è stato un autentico sardo e un vero eroe del nostro tempo, testimone di pace tra tanti giovani e studenti, infaticabile animatore di iniziative con l’Associazione Antonio Gramsci, circolo dei sardi nel capoluogo torinese. Per questo la Regione Sardegna gli rende onore", ha commentato in un post su facebook. “Le mie condoglianze per un torinese d'adozione che ci ha onorati portando la sua dolorosissima testimonianza nelle scuole. Abbiamo il dovere di continuare a tramandare i valori di uguaglianza e libertà ogni giorno, in primis con l'istruzione e la memoria”, ha postato la sindaca di Torino Chiara Appendino su Twitter.

A portargli l'ultimo saluto a Torino anche i rappresentanti dell'Istituto Storico della Resistenza del Piemonte e l'Associazione nazionale ex deportati di cui faceva parte. L' amministrazione comunale di Aritzo ha proclamato nel giorno dei funerali il lutto cittadino. “Noi lo ricordiamo con stima e affetto, come un illustre concittadino che ci ha ricordato in diversi passi della sua fatica di scrittore nel suo libro Prigioniero 83964”, ha scritto Antonio Monni, Commissario del Comune di Aritzo in un messaggio di cordoglio.

“Onesto, generoso, solidale - scrive la figlia Patricia, che vive in Argentina, in un commovente biglietto di commiato - ci hai insegnato il valore della pace, unico strumento per vivere e sopravvivere anche in situazioni estreme. Hai tenuto per te questo terribile segreto: quando ero piccola, la notte, ti sentivo urlare, e non capivo, ma poi ho compreso, volevi solo urlare la tua tristezza, il tuo dolore”. Ci sono voluti cinquant'anni prima che Mario Gesuino riuscisse a rompere quel muro di silenzio. “Era troppo doloroso ricordare, volevo solo dimenticare e poi ho sempre pensato: ma chi potrebbe crederci? Io stesso non crederei a un simile racconto”, diceva. Poi ha cominciato a parlare ed è avvenuto nella maniera più naturale, più dolce.

Mario Gesuino Paba (foto concessa)
Mario Gesuino Paba (foto concessa)
Mario Gesuino Paba (foto concessa)

“In viaggio sulla Orientale sarda, per la prima volta ha raccontato dei lager, di quegli orrori - ricorda Gabriella Manca, una nipote - lo accompagnavo a trovare un altro reduce dei campi di concentramento che aveva rintracciato e viveva in un paese dell'Ogliastra. È così che ha rotto il tabù familiare e ha iniziato, sollecitato dalle mie domande, a raccontare ciò che aveva tenuto nascosto per tutti quegli anni. Con noi in macchina c'era anche mio figlio Mattia di 7 anni. Non si perse una parola, e a un certo punto, incredulo, mi chiese: “Mamma, ma zio Gesuino ti sta raccontando un film?”. Così la sua storia viene alla luce, ma rimane nel cassetto per anni,  fino a quando Carlo Pili e Giuseppe Contu, un funzionario all'Università e un libraio convincono Mario Gesuino, ormai quasi novantenne, a mettere per iscritto la sua testimonianza. Nel 2013 esce “Prigioniero 83964. Settecento giorni di prigionia dalla Sardegna al lager di Buchenwald” un libro che porta la sua firma, curato da Pili e Contu. Un intenso, toccante, diario di memorie. Il ricavato della vendita del libro da sempre sostiene la missione di Jangany in Madagascar di padre Tonino Cogoni. Si erano conosciuti a Torino quando il religioso era un prete operaio alla Fiat. Nacque un'amicizia che è durata sino alla fine. 

Sua figlia, Patricia ci tiene a ringraziare Carlo Pili e Giuseppe Contu e l' associazione dell'Associazione dei Sardi in Torino “Antonio Gramsci”. "Da quando ha scritto il libro ed è andato in giro a presentarlo mio padre è come rinato, voi gli avete regalato i 12 anni migliori della sua vita. È uscito dal buio e da perseguitato in preda agli incubi notturni, è diventato un testimone", ha detto. Una copia del libro Mario Gesuino ha voluto regalarla a suo nipote Mattia, con una significativa dedica: “In quel racconto fatto da me in macchina da Cagliari a Tortolì mi aveva colpito la tua attenzione. In quel momento nasceva in me il progetto di scrivere un libro apprezzando il tuo infantile elogio. Adesso dopo alcuni anni condannato a restare nel cassetto, ecco il mio libro testimonianza di quanto ho vissuto. Per gli argomenti trattati spero che tu ti senta invogliato a leggerlo e che sia di tuo gradimento”.

Sfogliando il libro affiora la storia di un ragazzo di 17 anni che, partito dalla Sardegna pieno di ideali e belle speranze, viene catapultato in un inferno. Si ritrova ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, davanti alla morte, alla brutalità, alla violenza, al terrore, alla fame, al gelo, alla sporcizia, all'umiliazione, costretto in uno stato di schiavitù, con durissime condizioni di lavoro, a lottare per sopravvivere. “Qualche anno fa sono tornato a Buchenwald. Ho rivisto i reticolati, quel che resta dei forni crematori e le baracche, dove ci raccoglievamo tremanti. Ho risentito, nel silenzio di oggi, le voci e le invocazioni di ieri. Ho capito che non bastano cinquant’anni per cancellare il ricordo di un crimine così efferato - si legge nel libro - oggi più che mai è necessario che i giovani sappiano capiscano e comprendano: è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità. E allora se la mia testimonianza, il mio racconto di sopravvissuto ai campi di concentramento e la mia presenza nel cuore di chi comprende la pietà servono a far crescere la consapevolezza e l’amore, allora potrò pensare che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà servire come riscatto per il sacrificio di tanti innocenti”.

Mario Gesuino Paba ha lasciato la sua terra a 17 anni e ora vi fa ritorno, accolto con affetto dai suoi concittadini, familiari, amici, 80 anni dopo. Riposa, per sua espressa volontà, nella tomba di famiglia nel cimitero di Aritzo, per ricongiungersi con le sue radici nel paese natale, sulle pendici del Gennargentu, tra querce secolari, castagni, greggi al pascolo.  Uno scenario di grande bellezza dove ritrovare, nell'incanto e nel silenzio della natura, finalmente la pace. 

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