Il movimento di una mano, le parole sussurrate: «Sono qui». Si sente l’urlo di un soccorritore: è viva. Nella disperazione di quelle ore di fango e morte Maria Assunta Cara viene estratta dalle macerie dell’Hotel Miramonti. È l’alba del 20 luglio del 1985, sono passate diciotto ore dal crollo di un bacino di decantazione della miniera di fluorite di Prestavel: sembra la luce di un miracolo nel giorno dell’inferno della Val di Stava, l’Italia intera trattiene il fiato davanti alla storia della ventiquattrenne arrivata da Samassi per lavorare nella stagione estiva in Trentino. Spunta un filo di speranza dall’immane tragedia che ha appena spazzato via più di duecento vite. La ragazza sarda viene subito trasferita all’ospedale Santa Chiara di Trento. Ha una tempra forte, si spera in un recupero, resiste per diversi giorni, ma poi si aggrava: alla fine i medici si arrendono davanti alle ferite causate dai detriti e dal fango. Maria Assunta muore una settimana dopo il crollo che provoca il numero choc di 268 vittime (i numeri divennero ufficiali solo dopo anni, quando furono accertate decine di morti presunte).

Un elenco di morte

Samassi pagò un tributo altissimo alla tragedia della Val di Stava, in quell’elenco di morte c’erano anche altri tre concittadini della ventiquattrenne morta a Trento: le giovanissime Luciana Segura (21 anni) e Maria Rosaria Pitzalis (21) e poi Mariano Scano (38), tutti in Val di Fiemme per “fare la stagione”. C’era una quinta vittima sarda, Annamaria Soro, 58 anni, sassarese residente a Milano. Sono passati quarant’anni ma il centro del Medio Campidano non ha mai dimenticato i quattro morti nella tragedia di Stava, negli anni ci sono state tante iniziative per tenere vivo il ricordo di quei ragazzi: è stato anche organizzato un gemellaggio tra Samassi e Tesero, il Comune epicentro della valanga che portò devastazione e morte.

Tragedia immane

Il disastro nella valle trentina fu causato dal cedimento dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel: secondo le ricostruzioni successive ci fu la fuoriuscita di circa 180mila metri cubi di fango che scivolarono a valle con una velocità di 25 metri al secondo, fino a travolgere l'abitato di Stava, frazione di Tesero. Furono distrutti tre alberghi e una cinquantina di abitazioni: tra le 268 vittime c’erano 28 bambini e 31 ragazzini con meno di diciotto anni. La macchina dei soccorsi intervenne in modo massiccio davanti a quella tragedia immane: migliaia di uomini scavarono nel fango ma purtroppo servì quasi solo a fare la conta delle vittime. Ci vollero settimane per ricomporre e riconoscere i cadaveri, anche se decine di persone sfuggirono a ogni registrazione ufficiale. In molti casi si è dovuti ricorrere alla dichiarazione di morte presunta perché non venne ritrovata alcuna traccia del corpo. Il bilancio definitivo delle vittime fu fatto soltanto dopo diversi anni.

Le cause del disastro

Secondo il Tribunale di Trento le cause della tragedia sono state chiare da subito: «Il sistema di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata». Sotto accusa la progettazione e la gestione del piano di raccolta delle acque della miniera. «L'impianto è crollato essenzialmente perché non offriva quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l'esistenza di intere comunità umane». Il procedimento penale si concluse nel 1992 e portò alla condanna di 10 imputati tra progettisti, gestori e tecnici per disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Ci fu anche un importante risarcimento danni per oltre seicento parti civili che si erano costituite in giudizio. La miniera di Prestavel non fu fu mai più riattivata, negli anni successivi al 1985 ci furono varie bonifiche e poi un piano di rimboschimento in gran parte dell’area devastata dal fango.

© Riproduzione riservata