Il business non guarda in faccia a nessuno. Tuttavia è lecito provare pena per il tuo rocker preferito, vecchio canuto e stanco, incapace di proferire nota, di suonare corda? O quanta inossidabile devozione serve per sentire il batterista con cui sei stato allevato evitare i fill che lo hanno reso famoso? Non certo certo per scelta. Ne vale la pena?

Gli Ac/Dc sono tornati ad esibirsi dal vivo il 7 ottobre per la seconda serata del Power Trip Festival di Indio, in California. La scaletta ha incluso tutti i classici della band e alcuni estratti dall’ultima incisione per un totale di 24 brani.

Per la rock band australiana si è trattato del primo show dal 2016 e il ritorno dal vivo di Brian Johnson. Prima di loro avevano suonato i redivivi Judas Priest, (quelli della lametta) che hanno perfino annunciato l'uscita del nuovo album "Invincible Shield" nel marzo 2024. 

Dopo la release di "Power Up" nel 2020, gli Ac/Dc avevano fermato i concerti a causa del Covid. Una premura dovuta a persone di una certa età.

Nonostante il generale entusiasmo la prova della band ha presentato degli enormi problemi, specie a livello vocale. Una serata storta può capitare ma l’impressione è che l’importante sia sempre e comunque portare i dinosauri sopra un palco. Non importa se mummificati. I video degli show vengono immediatamente diffusi sul web, alimentando un globale chiacchiericcio sulla morte (artistica) vera o presunta della star di turno. Il fan paga fior di soldoni per assistere agli eventi, è disposto a turarsi il naso e le orecchie. Tuttavia fa male.

Poche settimane fa gli Ac/Dc avevano svelato la formazione che sarebbe salita sul palco del festival con Brian Johnson alla voce, Angus Young e Stevie Young alle chitarre, Cliff Williams al basso e Matt Laug alla batteria al posto di Phil Rudd. I cognomi rivelano un’altra usanza diffusa, quella di sostituire il morto con un parente.

Il mega tour mondiale programmato non ammette scuse. Axl Rose non è in grado di cantare da 20 anni. Eppure i Guns hanno fatto tutto esaurito ovunque. Il paradigma del rock a tutti i costi sono i Rolling Stones. Oramai l’ologramma di una band di ottuagenari il cui nuovo disco viene battezzato come evento planetario. In questo caso i pezzi sono costruiti in maniera tale che nel caso debbano davvero fare finta di suonarli possano farlo con meno fatica possibile. In questo caso il business sconfina con l’accanimento terapeutico. Vien da chiedersi perché i padroni della scena debbano per forza affidarsi ai nonnini, strappati dalle loro ricchissime pensioni e pieni di acciacchi, per riempire gli stadi. Perché non hanno scelta. Non c’è ricambio nel mondo del rock, la gerontocrazia domina il sistema, si lavora bene con i morti e con i quasi morti.

I giovani vivi vanno bene per concerti alle tre del pomeriggio di un festival che magari prevede gli Iron Maiden alle 22. E poco importa se Bruce non canta più. I giovani funzionano benissimo con il pop, dove il ricambio avviene con facilità. Nel rock questo non accade. Devi morire per smettere di suonare, che tu lo faccia a Donington o alla festa di Escalaplano.

In Italia il problema non si pone, perché il rock non esiste. Vasco Rossi manda avanti la baracca da solo, con uno spettacolo ancora comunque decoroso. Altri vanno avanti per inerzia, con pessimi risultati, anche oltre la morte. C’è sempre l’eccezione che conferma la regola. Quando alcuni membri della line up originale vengono a mancare si avanti. L’importante è che ne rimanga almeno uno. Come in Highlander. 

In alcuni casi gli spettatori, compreso chi scrive, hanno dovuto ricredersi. Lo show 2023 dei Metallica è nettamente superiore a quello di 15 anni orsono. Impeccabile dal punto di vista tecnico. Forse perfino troppo, visto che il povero Lars Ulrich è stato tempestato di critiche per una presunta batteria registrata in alcuni concerti. Circostanza poi che si è rivelata infondata in quanto il fondatore della band continua a suonare a suo modo le sue canzoni e poco importa che spesso il tempo sia volatile.

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