Ancora una volta arriva una richiesta di archiviazione per Marco Cappato, dopo l’ennesima indagine per aiuto al suicidio avviata dopo l’autodenuncia del leader radicale. Qui l’accusa è di aver accompagnato in una clinica svizzera un uomo malato di sclerosi multipla che dopo lunghe sofferenze aveva deciso di togliersi la vita.

Il procedimento penale ha coinvolto altre due persone: si tratta delle due attiviste che hanno guidato il mezzo di trasporto preso a noleggio dallo stesso Cappato per portare il paziente in Svizzera.

Ebbene, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ritiene che nei confronti dei tre indagati si debba procedere con l’archiviazione. I fatti sono questi: nel 2021 il malato aveva manifestato per la prima volta l’intenzione di procurarsi la morte. L’anno dopo l’idea si era consolidata ed era diventata definitiva, come lo stesso malato aveva comunicato via Wathsapp a Cappato e alla sorella. Così attraverso l’associazione Soccorso civile, di cui Cappato è fondatore e rappresentante legale, aveva contattato una struttura in Svizzera che offre prestazioni di suicidio assistito. La clinica ha acconsentito di farsi carico del suo caso e di sostenere i costi della procedura.

Dal canto suo l’associazione si è fatta carico del trasporto.

Il 6 dicembre 2022 il paziente è stato fatto salire sul mezzo col padre e le sorelle ed è stato trasportato in Svizzera da due attiviste dell’associazione che si sono alternate alla guida. In clinica è stato fatto l’ultimo tentativo di dissuasione: una volta confermata la sua volontà di morire, utilizzando il braccio che ancora poteva controllare ha assunto per via orale il farmaco ed è morto in pochi minuti.

I fatti, scrive il pm, risultano astrattamente riconducibili all’ambito materiale di operatività dell’articolo 580 del Codice penale. Considerate sia le modalità del gesto finale (l’uso del proprio braccio per portare alla bocca i farmaci letali) sia le plurime manifestazioni di intenti suicidiari reiterate nei mesi e nei giorni precedenti nonché nell’immediatezza della morte al personale della clinica, può senza dubbio ritenersi che la morte sia frutto di un atto auto soppressivo volontario.

La condotta di Cappato e delle due attiviste secondo la Procura sembra doversi inquadrare nella fattispecie dell’aiuto al suicidio non ricorrendo gli estremi dell’istigazione. Non risulta che gli indagati abbiano avuto un qualsivoglia ruolo nella formazione o nel rafforzamento della volontà suicidiaria: al contrario gli elementi emersi, tra questi le dichiarazioni del padre, portano a ritenere che il paziente abbia maturato il suo proposito in autonomia, nell’ambito di una riflessione del tutto personale, senza ingerenze di terzi, attraverso proprie ricerche, e che solo dopo abbia cercato contatti che agevolassero la materiale esecuzione di una risoluzione già ferma.

Il pubblico ministero ritiene che l’interpretazione preferibile della norma ne determini l’inapplicabilità al caso di specie: il contributo di Cappato si esaurisce nell’aver fornito al paziente le informazioni sul panorama normativo relativo al fine vita in Italia, nell’aver facilitato i contatti con la clinica, nell’aver sostenuto i costi del noleggio del mezzo utilizzato per il viaggio verso la Svizzera. Si tratta di condotte che si collocano in un momento distante dall’evento-morte e che non appaiono collegate all’esecuzione del suicidio bensì alla sua preparazione, ma sono anche connotate da una estrema fungibilità in quanto il paziente avrebbe potuto noleggiare una qualsivoglia auto-medica da solo o supportato da chiunque.

 Quanto al contributo delle due attiviste, è stato fornito in una fase certamente più vicina al momento della morte - avvenuta due giorni dopo l’arrivo - ma risulta ugualmente essersi arrestata a uno stadio meramente preparatorio. Infatti, al di là dell’attività di guida non risulta neppure che le due indagate nel breve periodo di permanenza in Svizzera del paziente abbiano collaborato per predisporne il suicidio assistito. Anzi:  hanno cercato di dissuaderlo.

La fase del suicidio non è del resto cominciata con l’arrivo del gruppo ma è consistita nel gesto auto soppressivo, pertanto la procedura di assistenza al suicidio posta in essere dal personale della clinica rappresenta la sola condotta agevolatrice rilevante.

Se il giudice per le indagini preliminari ritenesse invece integrata la fattispecie del reato di aiuto al suicidio, allora il pm chiede di sollevare una questione di legittimità costituzionale della norma.

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