Nera, potente, curve levigate e accoglienti,  da abbracciare forte, a 200 all’ora. Il suo “amore” si chiama Cbr: è una Honda 900 con due saette gialle applicate sulla carenatura. La guarda con affetto e nostalgia, la loro storia, iniziata 26 anni fa, si è interrotta il 26 dicembre scorso, dopo una volata fino a Sassari, la città della sua giovinezza.

Marco Piroddi ha 82 anni e non riesce ancora a rinunciare all’adrenalina di una corsa su due ruote.

Accarezza la carena lucida della sua moto e pensa: “Non è finita, cara mia, non è finita”.

Il patron del più antico mobilificio oristanese ha ancora l’energia di un leone: ogni mattina fa il giro della sua azienda, controlla, dà consigli… poi  ruba lo scooter che i figli gli hanno messo sotto chiave, e scappa a Torregrande.

Marco Piroddi sull'Honda 900 Cbr
Marco Piroddi sull'Honda 900 Cbr
Marco Piroddi sull'Honda 900 Cbr

La sua vita è stata scandita dai motori, e, ancor prima, dalle biciclette.

A 15 anni andava a Sassari in bici, 4 ore per andare, 4 per tornare. “Tutta una tirata sulla vecchia Carlo Felice, e poi la salita di Scala di Giocca. Bellissima”, racconta.

Studiava ragioneria e viveva nel Capo di sopra, in una pensioncina di via Tempio. In quel periodo aveva comprato una bici da corsa e la notte, per paura che gliela rubassero, la legava al letto.

In quegli anni la bici era tutto: trasporto, svago, lavoro. “Sulla bicicletta ci trasportavo anche i mobili” racconta.

Erano gli anni Cinquanta e Marco, diciottenne già aiutava il babbo a fare carichi e consegne.

“A quel tempo non avevamo un negozio così grande - racconta - vendevamo sedie, materassi, letti in lamiera, soprattutto per il Seminario. Lavoravo dal lunedì al sabato e la domenica al mare. Una vita semplice, senza troppi fronzoli”.

La bicicletta con la quale Marco Piroddi, da giovane, consegnava i mobili
La bicicletta con la quale Marco Piroddi, da giovane, consegnava i mobili
La bicicletta con la quale Marco Piroddi, da giovane, consegnava i mobili

Ma le moto, quelle gli hanno rubato il cuore già dall’età di 12 anni quando il babbo lo portava sulla sua bici a motore.

“La prima vera moto l’ho comprata quando ero in terza ragioneria. Con quali soldi? Mi ero fatto fare da un artigiano una brocca con una fessura e ci mettevo dentro tutto quello che riuscivo a risparmiare, quando sono arrivato ad avere 65mila lire mi sono comprato il Motom 48, un cinquantino a benzina. Aveva un serbatoio da 6 litri, giusto il tanto per arrivare a Sassari”.

Ma il Motom non è durato molto, subito scambiato con un MV 160, che aveva un serbatoio da 16 litri. “Era stato un nostro operaio a propormi lo scambio e io non mi sono fatto pregare. Diceva che il suo consumava troppo, col mio cinquantino avrebbe risparmiato in benzina”.

Ormai era entrato nel tunnel della velocità, l’adrenalina richiedeva nuove prestazioni e Marco Piroddi si fece ammaliare da una ditta di Bologna, la ItalJet che aveva creato un telaio con un motore da 600.

“Una moto che faceva i 200 orari - ricorda - costava 650mila lire, ma in realtà era una vera trappola, fatta da incapaci: perdeva olio e le vibrazioni del motore facevano allentare le viti del telaio”.

Insomma ha perso la pazienza e ne ha comprata un’altra. E poi un’altra ancora. Negli anni Cinquanta cambiò sei o sette moto, tra Ducati, Aermacchi e tanti altri modelli fino ad arrivare al top: la Guzzi. “In quel periodo avevo un amico di Como che mi mise in contatto con il concessionario Guzzi. Comprai il V7 ”.

Una delle\u00A0Moto Guzzi
Una delle\u00A0Moto Guzzi
Una delle Moto Guzzi

Poi un secondo V7 e il terzo “ricordo che costavano circa 770mila lire”. Col V7 fece i primi grandi viaggi all’estero: Francia, Jugoslavia, Austria alla ricerca di piste che la Sardegna non offriva. L’isola aveva solo un’arteria, la 131 dove non è facile sperimentare l’ebbrezza della velocità. Anche se, per lui, la Carlo Felice è sempre stata l’unica valvola di sfogo.

Non erano solo le due ruote ad attirarlo. Quello che cercava era la velocità, che, anche su 4 ruote aveva il suo fascino.  Nel ’67 gareggiò in salita a Scala Picada e le gite in auto con lui sembravano i percorsi di un videogioco a velocità supersonica.

“Sono caduto solo una volta -racconta- e non per colpa mia - puntualizza ancora un po’ stizzito - mi avevano investito, mi sono distrutto una gamba e sono rimasto ingessato per mesi. Ancora non riuscivo a camminare quando ho ripreso la moto”.

Al contrario della stragrande maggioranza dei genitori, sempre contrari a comprare il motorino ai figli, babbo Marco ha traviato i suoi bambini fin da piccoli.

“Ci tenevo troppo a trasmettere questa passione ai miei figli e con uno ci sono riuscito: Checco ha iniziato su un Cimattino, che ho ancora conservato qui in garage, e non ha mai più smesso”.

Il primo motorino usato dai figli di Piroddi
Il primo motorino usato dai figli di Piroddi
Il primo motorino usato dai figli di Piroddi

Checco Piroddi ha corso negli autodromi di Bari, al Mugello, a Monza, Vallelunga, guadagnandosi sempre un posto sul podio. “Mio figlio Checco è stato un campione, molto più prudente di me. Ho tentato di insegnare anche a mia figlia Luciana, inizialmente si era appassionata, gli avevo regalato un motorino e riusciva anche a impennare, come il fratello. Poi è prevalsa la paura di cadere, e ha mollato. Peccato”.

Quando c’era una gara tutta la famiglia montava sul furgoncino Permaflex targato Piroddi e partiva per il Continente: “Su quel furgone trasportavamo le moto, mangiavamo e dormivamo. Ci siamo divertiti tanto… bellissimi ricordi”.

Marco Piroddi e il furgoncino Permaflex
Marco Piroddi e il furgoncino Permaflex
Marco Piroddi e il furgoncino Permaflex

Oggi, le sue più care creature sono ancora lì, in uno dei magazzini di famiglia: le moto da cross e da corsa usate dal figlio Checco, una Honda 1100 acquistata in Svizzera, troppo potente per essere immatricolata in Italia e il suo grande amore, la Cbr nera, ancora nuova fiammante.

L’ultima volta che l’ha usata faceva molto freddo: “ho indossato la muta da sub e sopra ho messo il giubbotto, andavo molto veloce, è stato bellissimo”.

Ma la Polizia non l’ha mai fermato?

“La verità è che non sono mai riusciti ad acchiapparmi!”.

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