«Sono un voyeur. Passo la vita a guardare dal buco della serratura. Chi non lo fa è un idiota». La sincera provocazione è di Helmut Newton che raccontava così il suo mestiere di fotografo, professione che lo aveva incantato appena dodicenne, quando a Berlino, dove era nato nel 1920, aveva comprato la prima macchina fotografica. Ancora adolescente poi aveva frequentato lo studio di N. E. Yva (Else Simon), una fotografa di moda, di nudi, di teatro e quell’apprendistato tra modelle bellissime e scenografie teatrali gli sarebbe rimasto dentro per tutta la vita, segnando la sua visione della fotografia, soprattutto nel campo della moda per magazine come Vogue o Vanity Fair.

Ora la sua città natale, che fu costretto ad abbandonare in seguito alle persecuzioni contro gli ebrei (il suo vero cognome era Neustädter), gli rende omaggio (con un anno di ritardo, causa pandemia) per i 100 anni della nascita, e lo fa con una strepitosa mostra al Museo della Fotografia, visitabile fino al 22 maggio 2022. Con circa 300 opere, molte delle quali esposte per la prima volta, “Legacy” (Eredità) presenta aspetti meno noti dell'opera di Newton che riflettono lo spirito mutevole dei tempi, i cambiamenti attraverso i decenni.

La mostra è completata da polaroid, pubblicazioni, materiale d'archivio e dichiarazioni del fotografo che bene (e talvolta provocatoriamente) raccontano il suo processo creativo, inesorabilmente intrecciato con la seduzione sessuale, anche audace, e la raffinata eleganza senza tempo. Un’esposizione di grande impatto che racconta il contributo di Newton alla fotografia attraverso il suo stile provocatorio e che sottolinea soprattutto come il fotografo fu il primo a immaginare le donne forti, consapevoli, sicure di sé, a dispetto della loro splendida e provocante nudità. Sono donne che controllano la sessualità, donne che amano e desiderano, a prescindere dal sesso. Questo non lo mise al riparo da critiche sull’uso del corpo della donna come oggetto, ma Newton non deragliò mai dall’idea di bellezza prepotente, in qualche misura scandalizzante. E così replicava: «Penso che un fotografo, come un bambino educato, dovrebbe essere visto e non ascoltato. Sono un fotografo della vecchia scuola e non ho niente a che fare con l’arte. Non mi lascerò mai andare a discorsi intellettuali sul mio lavoro». Dunque il fascino e un po’ anche la magia di “Legacy” sono racchiuse in questa certezza: poter osservare le immagini e riuscire a immaginare la storia che può esserci prima e dopo quella scena.

Nato in una ricca famiglia ebrea (la madre aveva ereditato dal primo marito una prospera fabbrica di fibbie e bottoni), Helmut ama il cinema, il jazz e le donne. Nella sua “Autobiografia”, pubblicata in Germania nel 2002 e l’anno seguente negli Stati Uniti, ci sono già le immagini femminili: la giovane bambinaia spiata mentre si spoglia, il profumo Chanel sul decolleté della mamma, le donne nude che guarda di nascosto sulle riviste sexy rubate al fratello maggiore Hans. Tutti germogli di quello che sarà nella vita, un grandissimo fotografo. Costretto a lasciare l’Europa, dopo aver vissuto a Singapore per due anni, Helmut si sposta in Australia, dove cambia nome. Qui incontra l’attrice australiana June Brunell che inizia a posare per lui. Si sposano nel 1948 e rimangono insieme fino alla morte del fotografo, nel 2004. Una volta affermatosi in Australia come fotografo emergente, Helmut e June si trasferiscono a Londra nel 1957, dove lui firma un contratto come collaboratore per British Vogue. Ma lo stile radicale di Helmut sembra affascinare il pubblico e la stampa parigina molto più che quella inglese. Nel 1961, la coppia si sposta a Parigi, dove Helmut trova finalmente il giusto riconoscimento del suo lavoro. Le sue immagini sono più di semplici fotografie di moda; le mescolava a immaginari crimini, le infondeva di una decadenza opulenta o di stridenti satire sociali. A volte utilizzava le trame dei romanzi che leggeva per costruire le sue fotografie, altre volte quelle dei film che guardava. O semplicemente ricostruiva ciò che aveva visto per la strada. E a ben guardare, riusciva a trasformare il suo pubblico in una più o meno consapevole folla di voyeur.

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