Le Visioni Concrete di Ermanno Leinardi
Al museo Diocesano di Oristano la collezione di famiglia dell’artista di Calasetta dagli anni Sessanta al 2000
Una macchia sul pavimento. Una goccia di colore che conteneva l’Universo intero.
Nasce così quella cifra ellittica diventata il punto di partenza e di arrivo della poetica pittorica di Ermanno Leinardi. Un segno grafico, una sorta di “unità di misura”, una “chiave di lettura per esplorare la superficie”. Una lettera dell’alfabeto: la “O”.
Le “Visioni Concrete” dell’artista di Calasetta, scomparso 15 anni fa, saranno esposte fino al 30 settembre al Museo Diocesano di Oristano che propone una mostra antologica che va dagli anni Sessanta al 2000. È la collezione di famiglia, messa a disposizione dai figli, per un percorso itinerante che è partito da Cagliari e arriverà fino al Capo di sopra.
La mostra è curata da Maria Dolores Picciau, neo assessore alla Cultura del Comune di Cagliari, Silvia Oppo, direttrice del museo Diocesano e Antonello Carboni, collezionista oristanese e esperto d’arte.
“Con questa iniziativa il Diocesano prosegue il suo discorso sulla storia dell’arte sarda per
offrire alla comunità sempre nuovo percorsi di bellezza e conoscenza. Questo allestimento è molto più ricco rispetto alla mostra che si è tenuta a Cagliari alcune settimane fa e comprende tantissime opere inedite”.
Ma il percorso pittorico di Leinardi non è sempre stato legato a quella forma ellittica. Come la maggior parte dei giovani della penisola tabarchina, Leinardi ha studiato al Nautico, la pittura è arrivata da sola, in seguito: un approccio autodidatta passato attraverso gli scorci più belli della sua isola: casette, campagne assolate, alberelli. Una pittura un po’ naif, pennellate libere, di stampo espressionista.
Il suo lavoro è intenso e continuo, sempre in cerca di una sintesi, dell’essenza. “In queste
prime prove – scrivono i curatori – è già evidente il dono del levare che negli anni Sessanta
farà evolvere la sua indagine dall’astratto (che non si affranca del tutto dai riferimenti
naturalistici) all’informale, con uno sguardo all’opera di Jean Fautrire alle declinazioni più
concettuali dell’astrattismo geometrico”.
La rottura avviene nel 1960 quando alla Biennale di Venezia Leinardi incontra le nuove
correnti dell’arte contemporanea.
“Jean Fautrier mi sconvolse – scrisse Leinardi – vidi sei disegni a penna che mi hanno aperto un mondo: erano figurativi ma il valore del segno prescindeva dalla figura”.
Cominciano quindi ad affiorare tra gli elementi dei suoi paesaggi alcune figure geometriche ,
piccoli cerchi, quadratini, che si inseriscono tra le case, gli alberi, il bosco.
Negli anni Sessanta la sua visione edonistica della natura viene sostituita con un
“interpretazione più razionale del mondo che lo porta verso una geometria direzionata. I
colori perdono la loro funzione descrittiva e ne assumono non una più allusiva e simbolica”
spiegano i curatori. È di questo periodo la macchia di colore caduta sul pavimento, che
stravolge il suo modo di concepire la pittura. Da quel momento la “ O” sarà la cifra stilistica
che accompagnerà tutta la sua produzione.
Sul finire del decennio appaiono le sue prime opere in acrilico denominate "esercizio
indiscreto” in cui la “O” scorre liberamente lungo linee rette e curve, che lo conducono verso
quello che sarò il manifesto del Criterio Transazionale: un movimento supportato dallo
storico dell’arte Corrado Maltese, al quale, oltre a lui, hanno aderito Italo Utzeri, Ugo Ugo
e Tonino Casula. La loro filosofia si concentrava sul problema della percezione visiva: “come elemento sempre nuovo e difficile da interpretare”.
Gli Settanta iniziano con il netto contrasto tra bianco e nero, elaborazione di un momento
storico fatto di scelte nette. Nei suoi lavori le “O” bianche, raggruppate sempre in numeri
dispari, si muovono su tele candide dove incontrano altre “O” nere formando situazioni di
scambio e incontro in un impianto grafico molto razionale dove la contrapposizione è numero, il numero è movimento, il movimento è concetto.
Come ogni artista anche Leinardi, a modo suo, restituisce allo spettatore la sintesi del
momento storico in cui vive. “Gli anni Settanta sono anche per lui gli anni delle grandi contrapposizioni, delle nette prese di posizione politiche – spiega Antonello Carboni - e dai suoi lavori traspare proprio questo forte contrasto, questo senso degli opposti.”
Leinardi accresce la sua notorietà negli anni Ottanta grazie ad importanti esposizioni tra
Parigi, Zurigo Francoforte e Lucerna. Ma il suo legame con la Sardegna si rafforza e nella sua tenuta di Calasetta allestisce un grande atelier che gli consente di lavorare sulle grandi
dimensioni. In questi anni i suoi lavori si arricchiscono di colore “e si caratterizzano per una
semplificazone compositiva che oscilla tra rigore geometrico e vibrazione emotiva”.
Le “O” si oppongono ad altre forme: quadrati, cerchi, rettangoli. Scivolano, si piegano, si
specchiano, in un discorso più ricco e scomposto, ma senza mai far perdere a chi guarda
l’unicità dell’opera.
Leinardi non abbandonerà più il colore, anche se “gli anni Novanta si aprono per lui con un
rinnovato interesse per il bianco e nero. Riserva l’uso del colore solo per opere di grandi
dimensioni, per gli altri sceglie la tecnica dell’acquarello, più poetico, lirico e intimista”.
L’artista, scomparso nel 2006, “ha continuato anche negli ultimi anni di vita a battersi per un
‘arte severa, intransigente e rigorosa, puntando sul risveglio di un’isola, ancora molto
indolente” concludono i curatori.
La mostra si apre e si chiude sul suo volto, ritratto da Maria Lai, che sintetizza, in poche linee, i caratteri austeri della sua filosofia.