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Modelli di sviluppo e sottosviluppo nelle ricerche sociologiche sulla Sardegna. Un argomento di studio che forse ancora oggi può rivelare elementi di attualità, chissà. Su questo argomento si è incentrata la tesi di laurea dell’ex sindaco ed ex dirigente del Liceo De Castro di Oristano Guido Tendas. Era l’anno accademico 1972-73 all’Università Cattolica di Milano, relatore professor Franco De Marchi.

Un lavoro realizzato con rigore e minuziosità, dopo aver studiato ed esaminato le pubblicazioni, fra gli altri, di Francesco Alberoni, Pietro Crespi, Anna Anfossi e Gavino Musio.

La tesi è costituita da due parti, ciascuna delle quali suddivisa in tre capitoli. Al termine una corposa appendice con quindici tabelle, ricche di dati: dal raffronto dei cambiamenti demografici nelle province alla situazione degli occupati nei vari settori, dalla distribuzione della superficie agraria alle iniziative industriali nelle diverse zone dell’Isola. E ancora l’occupazione fra i residenti e la tendenza insediativa. Un vero tesoretto di dati raccolti con grande cura.

Oristano. Guido Tendas. 10.05.17 foto Alessandra Chergia
Oristano. Guido Tendas. 10.05.17 foto Alessandra Chergia
Oristano. Guido Tendas. 10.05.17 foto Alessandra Chergia

 La prima parte, teorica, pretende di porsi come critica globale del modo di affrontare il problema dello sviluppo economico e del mutamento sociale. “Per avere un quadro completo della sociologia ho esaminato a grandi linee” scrive Tendas, “la storiografia del pensiero sociale, mettendo in risalto il rapporto costante fra le correnti via via affermatesi. Ho cercato di identificare le principali correnti della sociologia contemporanea sullo sviluppo, con particolare attenzione a quella americana”.

Nella seconda parte, di indagine macrosociologica, si analizza la situazione socio-economica della Sardegna dall’inizio degli anni Sessanta, periodo precedente al varo del Piano di Rinascita economico, fino agli anni Settanta. “Questa indagine si giustifica con l’esigenza di verificare le impostazioni teoriche rilevate nella prima parte. In particolare, se esse possano costituire il presupposto al tipo di intervento realizzato dal Piano di Rinascita; e inoltre se questo sia servito veramente ad avviare quel processo di sviluppo autopropulsivo nella situazione di sottosviluppo della Sardegna”.

Scorrendo le oltre cinquecento pagine della tesi si scopre, così, l’analisi della situazione dell’Isola prima del Piano di Rinascita per identificare le cause strutturali di sottosviluppo “il cui inizio è coinciso con lo sfruttamento delle miniere da parte del capitale peninsulare che ne ha drenato le ricchezze per finanziare le propria capitalizzazione. Il sottosviluppo – spiega Guido Tendas – permane in Sardegna basandosi sulla debolezza strutturale delle industrie e sulla squilibrata distribuzione della proprietà fondiaria, la cui origine si può far risalire alla Legge delle chiudende del 1820”.

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L’autore esamina, poi, la situazione posteriore al Piano di Rinascita, l’industrializzazione ha mutato la struttura sociale dando origine a una nuova tendenziale stratificazione di classe. “Il dibattito parlamentare nella primavera 1969 è eloquente: l’intervento speciale nel Mezzogiorno, e quindi in Sardegna, è fallito. Il divario nord-sud è cresciuto anziché diminuire, l’arretratezza è diventata più profonda”.

Mentre è stata senz’altro fallimentare per le classi subalterne che hanno subito tale intervento ai fini dello sviluppo, data la discrepanza fra quella immagine e la realtà. “La spiegazione di tale situazione potrebbe essere facilmente attribuita allo squilibrio che ha caratterizzato il processo di industrializzazione. A mio parere, invece, è andato proprio come doveva andare, dato il sistema politico e socio-economico in cui è maturata la decisione di industrializzare l’Isola e il sud. Non c’è da meravigliarsi se l’industrializzazione si sia caratterizzata come squilibrio.  È ingenuo pensare che lo Stato e il capitale abbiano deciso di industrializzare il sud solo perché non è giusto che esista l’arretratezza. Il capitale, infatti, non ha mai fatto suo il punto di vista dell’arretratezza meridionale. Ritengo ingiustificato qualsiasi tentativo di spiegare il fallimento della recente politica meridionalistica scaricando la colpa del fallimento sulla cattiveria degli imprenditori privati che ha prevalso sulla volontà dei programmatori. Questo fatto è dimostrato infondato dal comportamento e dalla scelta dell’industria a partecipazione statale. Una posizione che appare invece come il tentativo di non voler affrontare alla radice la causa del fallimento di ogni politica economica capitalistica che pretende di favorire i paesi arretrati”.

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