Polifarmacoterapia, l’allarme dei medici
Fadoi (la Federazione degli internisti): gli anziani consumano dosi elevate di medicine contemporaneamente, attenzione ai rischi e agli effetti collateraliPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Maria ha 86 anni, e prende ogni giorno antipertensivi contro la pressione alta, anticoagulanti per prevenire ictus e infarti, statine per tenere sotto controllo il colesterolo, antidepressivi, bifosfonato, calcio e vitamina D per l’osteoporosi, antinfiammatori e antidolorifici. Un mix di farmaci molto comune tra gli anziani - l’assunzione di 5 o più medicine contemporaneamente si chiama polifarmacoterapia - un fenomeno dovuto principalmente all’aumento delle patologie croniche con l’avanzare dell’età, ognuna delle quali richiede una terapia specifica. Ma ci sono dei rischi, possibili interazioni o effetti collaterali che negli anziani possono essere amplificati, e causare conseguenze.
L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi da Fadoi, la Federazione dei medici internisti.
«Gli over 75 consumano la quota più elevata di dosi giornaliere di farmaci, e la prescrizione frammentata, spesso gestita da diversi specialisti senza una visione complessiva del paziente, espone gli anziani a interazioni farmacologiche, reazioni avverse e ricoveri potenzialmente evitabili», dicono i medici.
Il Rapporto OsMed 2024 conferma un quadro ormai strutturale: gli anziani italiani assumono un numero crescente di farmaci, spesso contemporaneamente, con livelli di aderenza e persistenza terapeutica molto bassi. Secondo Fadoi «la polifarmacoterapia è una realtà che dev’essere monitorata e gestita nel modo corretto».
Nel 2024 il 97,4% degli over 65, pari a 14,4 milioni di cittadini, ha ricevuto almeno una prescrizione farmacologica. Questa fascia della popolazione assorbe quasi il 64% della spesa complessiva e addirittura il 70% delle dosi di farmaci erogate in Italia. Ogni anziano assume in media 7,6 principi attivi, con un valore che sale a 8,7 farmaci tra gli over 85. La politerapia è diventata la norma: il 68,1% degli anziani riceve almeno cinque sostanze diverse all’anno, mentre il 28,3% arriva ad assumerne dieci o più, con percentuali decisamente più elevate nelle regioni del Sud. Non solo: tre anziani su dieci sono in politerapia cronica per almeno sei mesi consecutivi, con un picco del 43,7% intorno agli 89 anni.
Questo carico farmacologico crescente si accompagna però a una scarsa aderenza ai trattamenti, soprattutto nelle patologie croniche. Per alcune categorie di farmaci i livelli di alta aderenza sono estremamente bassi come ha evidenziato l’Osmed: appena il 19,5% dei pazienti con asma o BPCO segue correttamente la terapia, così come solo il 32,4% dei pazienti diabetici e il 37,8% di coloro che assumono antidepressivi. Anche la persistenza nel tempo è insufficiente: dopo 12 mesi resta in terapia solo l’8,4% dei pazienti con asma o BPCO, il 34,2% di chi assume antidepressivi e il 48,8% dei pazienti in cura con antidiabetici. Con l’avanzare dell’età, e in particolare oltre gli 85 anni, aderenza e persistenza crollano ulteriormente, aumentando il rischio clinico in una popolazione già fragile.
Fadoi sottolinea come questo quadro rappresenti una realtà sanitaria che dev’essere affrontata e gestita clinicamente nel modo migliore, e richiama anche il problema dell’inappropriatezza prescrittiva, «confermata dall’aumento del 19% degli utilizzatori di inibitori di pompa protonica, spesso associati in modo ingiustificato agli anticoagulanti orali diretti».
«I numeri del Rapporto OsMed parlano chiaro», spiega il presidente della Fadoi Francesco Dentali, «una popolazione fragile come quella anziana non può essere esposta a una giungla terapeutica fatta di 8, 10 o 12 farmaci diversi, spesso assunti con scarsa aderenza e senza una valutazione strutturata dell’appropriatezza. Il rischio clinico è enorme e ricade non solo sui pazienti, ma anche sul Servizio sanitario nazionale».
La Federazione degli internisti chiede un cambio di paradigma immediato: maggiore vigilanza sull’appropriatezza delle terapie, revisione periodica dei trattamenti, percorsi integrati ospedale–territorio e programmi per ridurre il carico farmacologico non necessario.
