Un viaggio nel mondo guidato dalla leggerezza dei fili e dall’intreccio di racconti di vita e progetti d’arte. Tutto nel segno della tessitura che si rivela potente linguaggio, non solo ancorato alla tradizione, ma capace di riflettere sui drammi di ogni tempo. L’occhio del visitatore cade anzitutto su “Telai di guerra” di Maria Lai, opere modellate dai pizzi su prime pagine dell’Unione Sarda del 1940 e del 1915 che riportano gli annunci infausti dei conflitti mondiali: una composizione che trasforma la tragedia in poesia dove il filo cerca di ricucire gli strappi del mondo. Lo sguardo arriva anche a “Com’è il cielo in Palestina”, opera di Giovanni Gaggia che richiama alla speranza: gli arazzi sono esposti a Nuoro dopo essere stati ammirati a Milano in una grande installazione presentata nella Casa della memoria.

Sono tasselli di una mostra affascinante organizzata dall’Istituto superiore regionale etnografico nel museo del Costume, sul colle di Sant’Onofrio a Nuoro, inaugurata il 28 novembre e aperta fino all’8 marzo prossimo. Il titolo parla chiaro: “Tessere per resistere. Pratiche di resistenza nella tessitura contemporanea”.

Opere di Maria Lai esposte al museo del Costume
Opere di Maria Lai esposte al museo del Costume
Opere di Maria Lai esposte al museo del Costume

Il percorso espositivo intreccia storia e identità, combina esperienze locali e globali. Spiega Efisio Carbone, direttore dei musei dell’Isre, che cura la mostra: «Da sempre, l’intreccio di fili ha rappresentato la capacità dell’uomo e della donna di costruire continuità e ordine nel tempo. Prima ancora che arte o mestiere, il tessere è un modo di pensare: un’azione che unisce mente e mano, riflessione e corpo. Fin dai miti antichi, il filo governa la sorte: Penelope disfa e rifà la tela per sospendere il tempo, Aracne sfida la dea Atena trasformando la superbia del gesto in punizione e metamorfosi, le Parche filano la vita e la recidono». E poi: «In ogni cultura il telaio è stato immagine del mondo: struttura, ritmo, equilibrio». Lo si coglie muovendosi nelle sale del museo dove è facile ritrovarsi nel video sulle artigiane di Nule e nell’abilità delle sorelle Senes, imbattibili maestre: un tappeto, donato di recente all’Isre dagli eredi, è emblematico perché loro tessevano imponendo ciascuna la propria volontà progettuale. L’arazzo è perciò asimmetrico, metafora di un’unità imperfetta ma viva.

Il tappeto delle sorelle Senes di Nule
Il tappeto delle sorelle Senes di Nule
Il tappeto delle sorelle Senes

«In Sardegna, la tessitura non è soltanto una tradizione, ma una forma di esistenza. Nelle case, nelle botteghe, nei laboratori comunitari, i telai sono stati per secoli strumenti di autonomia economica e culturale, luoghi di trasmissione dei saperi, ma anche spazi di libertà», sottolinea Stefano Lavra, presidente dell’Isre.

Tappeti esposti al museo del Costume
Tappeti esposti al museo del Costume
Tappeti esposti al museo del Costume

Il telaio immagine del mondo emerge anche dalle creazioni sperimentali di artisti come Zehra Doğan, giornalista curda. Il suo lavoro nasce dal carcere e diventa atto di libertà. Lei lavora su tappeti sardi come segno di vicinanza tra popoli, in occasione di una sua residenza nell’Isola con “Laboratorio Mediterraneo”, progetto finanziato dalla Regione per la Fondazione Macc. Nei suoi intrecci si colgono l’esperienza dell’esilio, la forza del gesto femminile e la capacità del tessuto di superare le barriere linguistiche e geografiche.

Andreco, artista e ingegnere ambientale, propone un progetto legato a un’esperienza in un villaggio africano dove si è occupato di potabilità dell’acqua. Da quella collaborazione sono nati tappeti donati dalla comunità come segno di riconoscenza e un video che registra una performance realizzata in Marocco vicino all’oasi di Smira nel 2013.

La tessitura è declinata in altro modo da Francesca Marconi con Illa Kumún / The Common Island (2024): realizza a Mindelo, Capo Verde, un tappeto a mano con Marcelino Andrade. L’opera si ispira a un’incisione ottocentesca tratta da “A Voyage to Senegal” di Jean Baptiste e propone la tessitura come atto di decolonizzazione. In un video l’artista ucraino Sasha Roshen mostra la madre e i vicini di casa che tessono insieme una grande rete mimetica destinata all’esercito.

Con Rosanna Rossi, la tessitura diventa linguaggio materico: con “Coltre di ferro” l’artista intreccia lana d’acciaio e affronta il tema del lavoro domestico come condizione e resistenza.

Altra sperimentazione con Caterina Frongia: in “Liberaci dal mare, Amen” l’artista utilizza lana, cotone, corde da campeggio, elastici e fischietti di salvataggio in un’opera che conduce al dramma delle migrazioni d’oggi col rischio naufragi. Lei collabora con Narente (Lucio Aru + Franco Erre) che uniscono fotografia, moda e installazione per indagare il corpo e l’abito come luoghi di identità collettiva e metamorfosi. Marianna Pischedda lavora sul bisso marino di Sant’Antioco, fibra rara e preziosa: nei suoi lavori, la tessitura diventa testimonianza di un sapere fragile ma resistente. Anna Gardu, maestra dolciaria di Oliena, realizza ricami di zucchero ispirati ai lavori del filet di Bosa. Tonino Secci esplora la carta con superfici, tagli, pieghe che sembrano tessiture invisibili. Andrea Contin propone una riflessione astratta con i colori ciano, magenta, giallo.

Opere di Anna Gardu
Opere di Anna Gardu
Opere di Anna Gardu

Annalisa Cocco e Anna Deriu dialogano con i disegni di Eugenio Tavolara, secondo lo spirito del progetto Isola, decollato negli anni Cinquanta per valorizzare la tradizione tessile sarda, mentre Raffaella Marongiu intreccia fili di pasta sottilissimi come “su filindeu” dando altra forma alla tessitura. Che sia testimonianza civile, memoria, ricerca o resistenza l’arte tessile conserva tanta potenza espressiva che la mostra riesce a raccontare come una filosofia della connessione.

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