«Nessuno può escludere che, come è avvenuto con la fillossera, un'altra malattia o parassita possa compromettere o distruggere le nostre varietà». Qualcosa ci avrà pur insegnato questa stagione all'insegna di un virus. Ha trasmesso una giornaliera infausta diretta pandemica ma ha anche aperto una finestra su possibili scenari futuri, giusto per non farci trovare impreparati. Almeno così dovrebbe. Mario Fregoni, 86 anni, ex presidente dell'Organizzazione internazionale della vigna e del vino, viene considerato uno dei più illustri studiosi e teorici della viticoltura italiana. Un'autorità illuminata del settore, ex ordinario di viticoltura alla Cattolica di Piacenza, che frequenta la Sardegna dal 1964. «La mia esperienza in campo internazionale - spiega lo studioso - mi ha permesso di avere una visione mondiale dei problemi e anche le difficoltà della Sardegna devono essere risolte pensando a un contesto internazionale». E proprio l'isola al centro del Mediterraneo può essere faro in un cammino di sviluppo carico di insidie. Bussola puntata su Urzulei. «Qui esiste un esemplare che nessun altro Paese al mondo può vantare, un grande ceppo maschio di Vitis silvestris millenaria. Questa pianta deve essere valorizzata e soprattutto protetta con l'iscrizione alla lista dei patrimoni culturali dell'Unesco», che raccoglie i valori eccezionali, unici e irripetibili. Ma, aggiunge Fregoni, in quel formidabile ceppo selvaggio, ribelle nei secoli all'addomesticamento e alla civiltà, si trovano tante risposte essenziali.

Il professor Fregoni con Sebastiano Cabras (foto archivio L'Unione Sarda)
Il professor Fregoni con Sebastiano Cabras (foto archivio L'Unione Sarda)
Il professor Fregoni con Sebastiano Cabras (foto archivio L'Unione Sarda)

IL SILVESTRONE «Chiediamoci perché dopo tanti secoli queste viti selvatiche ancora vivono. Si riproducono senza trattamenti, senza uso di antiparassitari e pesticidi, senza fillossera e senza malattie. Quello che voglio dire - aggiunge - è che questa pianta millenaria di Urzulei ha un valore genetico immenso. Vanno fatti studi sui pollini ed esami sul Dna, per sperimentare incroci genetici. Un'attenzione che ci permetterà, per esempio, di migliorare il Cannonau da un punto di vista del colore ,ma sicuramente sarà una strategia efficace di resistenza alle malattie». Fregoni, da uomo di scienza non dà nulla per scontato: «Potrebbe esserci il rischio di una "pandemia". Se arriva un parassita sconosciuto, mancando le resistenze genetiche delle varietà coltivate in Sardegna, come anche in Italia e in Europa, potremmo subire ancora la stessa distruzione dei vigneti che abbiamo avuto con la fillossera. Da qui l'appello diretto alla Regione e alla classe politica: «La Sardegna ha un patrimonio autoctono che deve essere incrementato e migliorato tramite gli incroci, anche con le selvatiche, ossia attraverso il seme. Non possiamo continuare a innestare e utilizzare lo stesso legno che porta malattie e virus. Ritorniamo all'origine, al seme che mescola i caratteri genetici e porta nuove forme di resistenza. Se riduciamo il numero di varietà rischiamo il tracollo». La Sardegna ha importato varietà che tutto il mondo coltiva, invece deve creare nuove varietà sarde. Un programma di intervento a medio lungo termine .«Per creare una nuova varietà ci vogliono almeno 10 anni», precisa. È un lavoro di ricerca, un piano da elaborare con Agris e l'Università, per esempio». Mario Fregoni parla di «dovere morale. Io devo segnalare quali sono i rischi che stiamo correndo con la viticoltura attuale».

Gianni Lovicu (foto archivio L'Unione Sarda)
Gianni Lovicu (foto archivio L'Unione Sarda)
Gianni Lovicu (foto archivio L'Unione Sarda)

La Vitis silvestris di Urzulei oggi è il vero patriarca di tutte le viti conosciute nel pianeta. Un essere vivente, sopravvissuto agli stessi uomini del passato. La sua fibra millenaria potrebbe rinvigorire e marcare ancora con più forza la territorialità del Cannonau ,del Carignano e del Vermentino. «Attraverso il seme i caratteri delle diverse varietà che conosciamo si mescolano. In tutti questi anni abbiamo lavorato poco sull'aspetto genetico mentre abbiamo seguito pedissequamente l'innesto delle varietà. Per ragioni commerciali e di mercato oggi nel mondo sono appena 10 le varietà importanti che coprono tutti gli impianti nuovi. Questo ci penalizza perché la biodiversità è quella che ci permette di sopravvivere». Piante più resistenti, longeve grazie alla strategia genetica. Come dire: più le razze si mescolano e più forte sarà il bagaglio immunitario degli individui. «Se innesti sempre Cannonau e Vermentino, non si modifica niente. Tutto resta fermo». Fra l'altro si usano meno di una decina di portinnesti. Andiamo verso la "consanguineitá".

IL QUADRO La superficie mondiale della viticoltura negli ultimi cento anni è passata da 10 milioni di ettari a 7,5. In Italia da 3,8 milioni a 650 mila ettari. Contrazioni causate da diversi fattori ma soprattutto dalla presenza di parassiti e malattie. «Come la fillossera, arrivata dall'America tra la fine '800 e inizi del '900. Si è sviluppata perché non ha trovato una resistenza genetica nel patrimonio varietale che coltiviamo». La Sardegna vive uno stato di grazia, in qualche modo. È certamente la prima regione italiana per maggior numero di piante selvatiche presenti nei boschi. Un antico laboratorio naturale per potenziare barriere di immunità.

Le misurazioni dell'esemplare millenario (foto Fregoni-Cabiddu)
Le misurazioni dell'esemplare millenario (foto Fregoni-Cabiddu)
Le misurazioni dell'esemplare millenario (foto Fregoni-Cabiddu)

LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA I parassiti sono come i virus: evolvono, mutano non stanno fermi. «Si parla di coevoluzione, mutano. Invece le varietà che oggi coltiviamo con gli innesti non si modificano non hanno un'evoluzione e quindi sono più vulnerabili. Per aumentare la resistenza delle nostre varietà dobbiamo passare attraverso il seme. Le tecniche di ibridazioni tra la nostra vite e quelle americane possono aumentare la resistenza alle patologie, ma a un caro prezzo: perdita di qualità. Dobbiamo invece restare nell'ambito della Vitis vinifera», insiste il docente.

Diminuzione della resistenza alle malattie, incremento della virulenza dei parassiti, aumento di trattamento con pesticidi: la catena della distruzione ambientale, dice preoccupato Fregoni, va spezzata.

TALLONE DI ACHILLE Nel piede c'è la forza ma anche la debolezza dell'individuo e la Sardegna ha l'imprinting giusto. «Possiamo senz'altro dire che è la capitale italiana, e probabilmente europea, dei vigneti franchi di piede: 430 ettari». Un'estensione importante ma soprattutto un giacimento di valore di cui forse non si coglie appieno la portata. Franco di piede, in sintesi, indica una vite cresciuta e allevata senza l'innesto su una "radice" americana. L'uso della protesi a Stelle e strisce venne adottato in Europa come arma nella lotta alla fillossera. Un parassita che però nell'Isola, e in poche altre parti d'Italia, non ha trovato vita facile. Questo ha permesso la coltivazione della vite franca di piede. Il motivo? «Non essendovi cause climatiche che si frappongono alla fillossera - continua Mario Fregoni - l'interesse si è concentrato sullo studio dei suoli», in particolare delle zone con la maggiore diffusione del piede franco: S.Antioco, Sulcis, Gallura, Ogliastra. «Sono aree caratterizzate in massima parte da terreni con elevate percentuali di sabbia (in Gallura si arriva all'81%), Ph acido o neutro, bassi contenuti di calcare (pari a zero in Gallura e nella Sardegna centrale) e di argilla ( di poco superiore al 10% in Gallura e nella Sardegna centrale)». Insomma un suolo che la fillossera non ama affatto.

L'APPELLO «Sembra però che la Sardegna si sia dimenticata di avere questa ricchezza e ha fatto, come altre regioni, impianti innestati. Che significa longevità ridotta e perdita di qualità». Le viti franche di piede sono secolari. Il vigneto con innesti ha una durata media tra i 20-25 anni. «Col rischio dei rigetti, proprio come nel corpo umano. Innestiamo la nostra vite su legni americani con i quali non c'è molta affinità e intorno ai 10 anni iniziano i rigetti. C'è poi l'aspetto più importante: i vini nati da viti a piede franco hanno una marcia in più. Tanto che in Portogallo esiste una Denominazione di origine, Colares sull'Atlantico, che nel disciplinare impone la coltivazione di viti senza portinnesto americano.La Sardegna dovrebbe indicare in etichetta "franco di piede". «Oggi c'è un ritorno al franco di piede - fa notare Mario Fregoni - è qui l'autentico spirito del terroir che non si può avere tramite radici americane. Quando facciamo un innesto - conclude - facciamo una vite diversa. Invece dobbiamo ritornare ai vini di terroir della Sardegna». Un'isola del tesoro enologico unico al mondo, con la vite silvestre millenaria e i vigneti dalle radici sarde.
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