La donna aveva deciso di dormire in una camera diversa da quella del marito per evitare i rapporti sessuali. Ma il coniuge durante la notte si recava nella camera dove la moglie dormiva con le figlie, e insisteva. La donna gli manifestava il suo dissenso e lui non desisteva. Allora, per non farlo adirare e per non svegliare le figlie, acconsentiva ai rapporti sessuali.

Questo comportamento, secondo la Corte di Cassazione, integra il reato di violenza sessuale.

La sentenza depositata di recente torna dunque sul tema del consenso per stabilire quando, come e perché l’atto sessuale concretizzi un abuso, anche tra coniugi: «Non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà dell’oggetto passivo ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell’agente».

Ecco allora che, secondo i giudici di legittimità, la violenza sessuale sussiste anche quando il rapporto è stato consumato approfittando di uno stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza nel quale la vittima è stata in precedenza ridotta.

Il ricorso del marito è stato, dunque, respinto e la sentenza di condanna è diventata definitiva.

Scrive la Corte nel verdetto: non è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale e per tutto il tempo, dall’inizio fino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato della vittima.

Il caso sottoposto al vaglio della Corte di Cassazione è speculare a un altro procedimento in cui la donna, pur piangendo e manifestando il suo dissenso, non aveva frapposto alcuna opposizione fisica al rapporto sessuale impostole dal marito, nel timore derivante da un violento colpo che le era stato inferto dall’imputato assieme all’intimazione a seguirlo in camera da letto, e nella preoccupazione di non svegliare con le proprie urla il figlio che dormiva nella stanza attigua.

La Suprema Corte si sofferma anche sull’attendibilità della persona offesa: la Corte d’Appello aveva dato conto con esauriente motivazione delle ragioni che l’avevano portata a ritenerla attendibile. Nei reati sessuali poiché la testimonianza della persona offesa è spesso l’unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione dell’attendibilità; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice nel merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria.

Ed ecco che le dichiarazioni della persona offesa non necessitano dei riscontri perché vengono poste a fondamento della condanna dell’imputato. A una condizione: che si stata verificata la credibilità soggettiva della denunciante e l’attendibilità intrinseca del suo racconto che deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. Il giudice dovrà allora indicare le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha portato alla soluzione adottata.

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