Intelligenza artificiale, inganni reali
Il video hard col volto di Giorgia Meloni, la foto con la bimba alluvionata, la canzone di Bieber: tutti frutti di manipolazioni digitaliPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Una foto, una canzone, un video pornografico: i primi due hanno fatto, letteralmente, il giro del mondo (almeno di quello virtuale), il terzo di recente ha portato a deporre nel tribunale di Sassari (sia pure da remoto) la presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni. Comuni a tutte e tre i prodotti, l’origine digitale e un certo livello di manipolazione. La foto e il video non sono, come pure ci si aspetterebbe da immagini fisse e in movimento, il documento di nessun fatto realmente accaduto. Quanto alla canzone, non è stata scritta dal cantante di cui sentiamo la voce e che avrebbe fatto le presunte esperienze di vita raccontate in un testo troppo esplicito per essere vero.
Partiamo dal video pornografico perché è quello realizzato con i trucchi digitali più rozzi, e anche il più antico. Quattro anni fa qualcuno (secondo la pm Maria Paola Asara il 50enne sassarese Alessio Scurosu, ora sotto processo) ha preso un vero filmato porno e ha sostituito al viso della protagonista quello della presidente Meloni. «Insisto – ha dichiarato lei di recente durante l’udienza, collegata da Palazzo Chigi con l'aula del tribunale di Sassari – per chiedere la punizione del responsabile per come mi hanno fatto sentire quelle immagini e perché trovo intollerabile tutto questo in generale». La presidente del Consiglio chiederà 100mila euro di risarcimento, e ha annunciato di volerli devolvere al fondo del ministero dell’Interno per le donne vittime di violenza. Ma al di là della specifica vicenda processuale, il passaggio più interessante della recente deposizione di Giorgia Meloni collegata da remoto con l’aula del Tribunale di Sassari riguarda le tecnologie che oggi, con l’intelligenza artificiale generativa, cioè capace di generare testo, immagini, video, musica o altri media in risposta a delle richieste dette “prompt”, consentirebbero a manipolatori più abili un risultato decisamente più credibile rispetto al video che ha visto protagonista, suo malgrado, la presidente del Consiglio: «Se non interveniamo – ha detto Meloni – sarà impossibile capire cosa sia vero e cosa non lo sia, e questi video diventeranno illimitati».
Uno scenario già presente, a ben vedere. E torniamo agli altri due documenti. La foto di cui parliamo è quella della bambina in lacrime con addosso un giubbotto salvagente, i capelli bagnati e un cagnolino in braccio: è diventata il simbolo della devastazione portata in Florida e in altri cinque Stati dall'uragano Helene. Le cui vittime sono reali: 237 morti, secondo il bilancio definitivo, più centinaia di feriti e migliaia di persone rimaste senza casa. L’immagine, invece, non è reale: quella bambina e quel cagnolino sono frutto dell’intelligenza artificiale generativa, la cui crescita procede a una velocità vertiginosa e il cui impatto su tanti aspetti della vita umana sembra destinato a essere di una radicalità senza precedenti. Inutile tentare di aggrapparsi a “spie” come quelle indicate dai debunker più raffinati (la pelle della bambina, troppo liscia, il colore della barca o del muso del cagnetto): quella foto ha ingannato mezzo mondo. Come e più del Papa col piumone bianco Balenciaga o del mai avvenuto arresto di Donald Trump. E come e più di allora, la scoperta di essersi fatti ingannare (e stavolta anche commuovere) da un pezzo di realtà che si è poi rivelato irreale lascia un senso di smarrimento, si barcolla per l’improvvisa, vertiginosa mancanza di un concetto condiviso di realtà su cui fare affidamento.
E passiamo alla canzone. Circolata nel nuovo universo social che ha i tempi stringati di TikTok, consiste in pochi versi. Lo stile e la voce sono quelli di Justin Bieber o almeno gli somigliano abbastanza da ingannare anche i suoi ascoltatori più affezionati. Secondo la casa discografica Cbs, è frutto di manipolazioni. Cioè dell’intelligenza artificiale, che ovviamente non è solo in grado di scrivere un saggio, una poesia o un articolo giornalistico o di realizzare un’immagine in base alle indicazioni fornite, ma anche di scrivere canzoni. Il testo: “Mi sono perso a una festa di 'Diddy'. Fortuna e fama non valevano la pena. Volevo una nuova Ferrari, ma mi è costata molto più della mia anima”.
Diddy, a questo punto dovrebbero saperlo tutti, è Puff Diddy, ovvero Puff Daddy, ovvero Love ovvero Sean Combs, un tempo rapper e produttore, ormai da tempo magnate dell’industria discografica americana, capitalizzato per oltre 800 milioni di dollari, arrestato a metà settembre con accuse che includono il traffico sessuale e lo sfruttamento della prostituzione e presunti abusi su decine persone che all’epoca dei fatti avrebbero avuto tra i 9 ei 38 anni. Qualcosa di molto vicino all’inchiesta che ha travolto il produttore cinematografico Harvey Weinstein, quello dello scandalo MeeToo. La star del pop Bieber al momento non entra nell’indagine del Fbi ma agli inizi della sua precocissima carriera, quindicenne, fu sotto l’influenza di Combs, e per alcuni giorni solo con lui nella casa dei chiacchierati festini. La strofa è stata diffusa in oltre 4.500 video soltanto su TikTok, e da lì rilanciata su altre piattaforme, a partire da X e Facebook: voce, musica e parole hanno commosso milioni di persone in tutto il mondo. Se la canzone fosse vera, sarebbe un documento d’accusa sostanzioso contro il magnate discografico agli arresti, ben più dettagliato e probante della tracce (queste sì, vere, e dolorosamente inascoltate) sparse nella discografia del cantante, che raccontano il dramma di un ragazzo che voleva fare musica e al quale è probabilmente stato estorto un prezzo troppo elevato per il coronamento suo sogno. Ma reale, a quanto pare, non è. Come la foto della bambina col cane in braccio, come il video al centro del processo a Sassari.
E allora si torna all’allarme lanciato qualche giorno fa da Giorgia Meloni: «Se non interveniamo sarà impossibile capire cosa sia vero e cosa non lo sia». Il guaio è che nessuno sembra avere davvero idea di come intervenire e che, molto probabilmente, è già troppo tardi.