Sono il pericolo numero uno di questa bollente estate sarda. In letteratura vengono definiti Extreme wildfire events, i grandi incendi forestali, caratterizzati da prolungati periodi di siccità associati a ondate di calore. Una situazione che ricorda molto quella attuale. Estremi perché in alcuni casi hanno provocato la perdita di vite umane. Michele Puxeddu, membro dell’Accademia di Scienze forestali, ha ricostruito gli eventi di maggiore impatto in Sardegna, concentrandosi su quelli che si sono verificati dal diciannovesimo secolo ad oggi. Lavoro pubblicato su diverse riviste specializzate.

Gli Ewe sono considerati “incendi piro convettivi a comportamento erratico ed imprevedibile, con formazione di piro cumulonembi derivanti dall’interazione tra incendio e atmosfera con il raggiungimento di elevatissime intensità di calore, elevate velocità di propagazione e insorgenza di fuochi secondari (spotting) anche a distanza di chilometri dal fronte principale”.

«In tali situazioni – spiega Puxeddu - viene superata qualsiasi capacità di controllo e di conseguenza si verifica un impatto socio economico e ambientale catastrofico il cui contrasto deve consigliare di investire sempre di più nella prevenzione».

Puxeddu, citando Di Berenger, spiega come la Sardegna, con i suoi boschi, è stata gravemente colpita dagli incendi sin dalla colonizzazione Fenicia, avvenuta tra il 1000 ed il 500 a.C.  

Oggi il fenomeno è ancora molto rilevante. I dati del 2021 della Regione Sardegna parlano chiaro, una media di 3000 incendi all’anno con oltre 18 mila ettari percorsi. Di questi 4700 ettari hanno interessato superfici boschive. Il problema sociale e ambientale è enorme.

Ma quali sono gli incendi che vengono considerati come eventi estremi e distruttivi negli ultimi due secoli?

Il primis l’incendio di Nurra-Argentiera (Sassari), del luglio 1839. Di origine colposa, durò 15 giorni, causando vittime umane (numero non conosciuto) e colpendo 3 milioni di grandi lecci e 1 milione di grandi olivastri: non è nota l’estensione e il danno provocato al patrimonio forestale la cui gravità può esser comunque desunta dal numero di alberi incendiati e dalle drammatiche testimonianze dell’epoca.

Nell’agosto del 1031 un rogo di origine dolosa devastò la zona di Carvacone, Orgosolo. Distrusse 8000 ettari, colpendo, tra i boschi, leccete d’alto fusto, querceti di roverella e macchia mediterranea.

Il fuoco uccise sette persone il 31 luglio del 1945 ad Anela. Le vittime erano tutti operai forestali, impegnati nelle operazioni di spegnimento. Distrusse 700 ettari, leccete, sugherete, querceti di roverella e macchia mediterranea.

L’incendio di Grighine, in territorio di Villaurbana, rase al suolo quasi 2300 ettari di fustaie di pino. Un rogo doloso e colposo, che bruciò per tre giorni, dal 27 al 28 luglio 1983,

Tragicamente celebre e vivo nella memoria collettiva l’incendio di Curraggia (Tempio Pausania) che si verificò dal 24 al 28 luglio 1983, di origine dolosa. Distrusse 18 ettari, ma soprattutto causò nove vittime. Una ferita ancora aperta.

Pochi anni più tardi la stessa immane tragedia si abbatte su Porto San Paolo. Morirono sei persone nei primi giorni di agosto del 1989. Nello stesso anno a San Pantaleo si registrarono 13 vittime per un rogo doloso appiccato il 28 agosto che distrusse 1200 ettari.

Quello che è accaduto nel 2021 in Montiferru è stato un disastro senza precedenti per le conseguenze sulla flora. Un intero territorio finito in cenere in cinque giorni di fuoco.

Distrutti 13.000 ettari leccete, sugherete, querceti di roverella, pinete di pini mediterranei e macchia mediterranea. E tra loro alcuni patriarchi millenari. Alberi testimoni del tempo, sopravvissuti a  decine di catastrofici eventi come questo. 

«Oggi è sempre più necessario e urgente – spiega Puxeddu -  rafforzare la resilienza delle comunità locali interessate, responsabilizzandole, in termini di sensibilizzazione, consapevolezza e preparazione al contrasto di questi gravissimi eventi».

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