«In tribuna per Sinner con i “Carota boys”»
Il racconto di Michela Perra, 30 anni, medico di Selargius, in trasferta per gli Us OpenPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Il mio viaggio con i “Carota boys” per fare il tifo per Jannik Sinner». Michela Perra, 30 anni, medico di Selargius, all’indomani della sconfitta del numero uno azzurro in finale contro Alcaraz agli Us Open, pensa che in futuro l’alto-atesino potrà riprendersi lo scettro mondiale e incamerare altri tornei del grande Slam. «La delusione c’è, è innegabile, ma noi che l’abbiamo osservato dal vivo a New York nel match di terzo turno contro Shapovalov avevamo visto che non era il solito devastante Sinner, al contrario di Alcaraz, arrivato negli Usa al top della forma. Sinner avrà modo di rifarsi, noi appassionati magari avremo la possibilità di tornare a fare il tifo per lui».
Come è nato il viaggio a New York con i “Carota Boys”?
«Premessa: io amo lo sport e da ragazza giocavo a basket. Ho cominciato a seguire il tennis quando con mio padre ho visto in tv la finale di Wimbledon tra Djokovic e Berrettini. Di fatto quello è stato il mio approccio con questo sport, ho cominciato a vedere le partite in tv, a leggere, a tenermi informata e così ho conosciuto la storia dei “Carota boys”».
I fan di Sinner.
«Sì, un gruppo di ragazzi, molto amici tra di loro, di un paesino piemontese che – contrariamente a quanto si crede – non si sono dati quel nome pensando al colore della chioma di Sinner, ma perché a un cambio di campo lo avevano sorpreso a sgranocchiare una carota».
I “Carota boys” sono diventati un fenomeno.
«Sì, le loro immagini sono virali sui social, hanno 180mila seguaci su Instagram, sono seguiti in tutto il mondo, e proprio su Instagram durante il torneo di Wimbledon avevano annunciato che ci sarebbe stata la possibilità, in futuro, di partire con loro per seguire Jannik in un torneo dello Slam».
Così è stato.
«Sì, per me un caso. In attesa della scuola di specializzazione avevo in mente un viaggio nel Nord America, è capitata quest’occasione, unire una vacanza con due giornate agli Us Open, è stata veramente una bellissima esperienza».
Quanti eravate?
«Ventidue, da tutta Italia, anche due tifosi italiani emigrati in Brasile ci hanno raggiunto a New York».
Come è stata l’esperienza?
«Bellissima, siamo stati un gruppo molto unito dalla passione per il tennis e dal tifo per Yannik, soprattutto abbiamo trascorso piacevoli giornate a New York anche oltre al tennis, malgrado le differenze di età e di provenienza geografica».
Con i “Carota boys” a Flushing meadows.
«Incredibile, tutti li conoscevano. Anche le persone dello staff organizzativo del torneo ci fermavano per le foto, ci offrivano un caffè o uno yogurt o un succo di frutta, il tifo è sempre stato coreografico e pittoresco ma mai volgare, quella macchia color carota è stata ripresa da tutte le tv del mondo. In tanti ci chiedevano le magliette, le felpe, il cappellino e lo zainetto dei “Carota boys”, i controllori dei biglietti hanno voluto salutarci e fare un selfie con noi. Questo perché in tanti nel mondo amano Yannik Sinner, un esempio come giocatore e come persona, e di conseguenza anche i suoi supporters».
Il match con Shapovalov?
«Duro, Sinner non era al meglio e il canadese stava giocando benissimo. Poi Sinner è uscito alla grande, ma forse a guardare bene qualche segnale preoccupante poteva essere intravisto. Resta da dire che Alcaraz è stato un marziano, lo avevamo visto dal vivo contro Darderi, e ha vinto meritatamente. Ora aspettiamo la rivincita».
Era il suo primo Slam da spettatrice?
«No, ero stata anche a Parigi, avevo visto Jannik contro Bublik».
Differenze tra Us Open e Roland Garros?
«Forse il torneo di Parigi è più organizzato, ma New York mi è piaciuta di più sia per la compagnia dei “Carota boys”, sia perché gli americani vivono al massimo questi eventi sportivi, un po’ come se fossero partite di basket Nba o di football e baseball, creano un clima incredibile. A New York si può accedere in tribuna anche durante gli scambi, a Parigi e a Roma si deve attendere la pausa del cambio di campo ogni due game, ma va bene così, e neanche i giocatori si lamentano della confusione, è uno degli aspetti che affascinano degli Usa».
Lei comincerà a giocare a tennis?
«Sicuramente, voglio provare: magari il passato da cestista in qualche modo mi può aiutare. Di certo anche soltanto guardare il tennis in tv mi aiuta a staccare, a non pensare a studi, lavoro, problemi quotidiani».
Prossimi impegni con i “Carota boys”?
«Sarebbe bello andare al prossimo Slam in Australia, bisogna capire se è possibile conciliare con lavoro e sport. Comunque sempre forza Sinner».