Dal blog “Terz’ultima fermata” degli avvocati Vincenzo Giglio e Riccardo Radi arriva un caso giudiziario che non si può dire singolare perché non è l’unico. Purtroppo. Riguarda il riconoscimento dell’autore del reato da parte dei testimoni attraverso immagini estrapolate da video registrati da telecamere di circuiti di sorveglianza.

Riconoscimento sbagliato.

Solo che questo lo si è scoperto dopo molti mesi.

Nel frattempo due persone sono rimaste in carcere. Sono state definitivamente scagionate dopo due lunghissimi anni, all’esito di un doppio processo di primo grado.

I fatti riportati nel blog dai due avvocati sono accaduti in un quartiere di Roma e si riferiscono a sette rapine in diverse farmacie per mano di un uomo e una donna armati di taglierino.

Attraverso le immagini delle telecamere di videosorveglianza un carabiniere riconosce in una donna di 36 anni la rapinatrice: l’aveva già vista, in caserma, quando accompagnava il fratello, 4 anni più grande, con precedenti penali per reati contro il patrimonio, e sottoposto a obbligo di firma.

A quel punto le vittime delle rapine vengono convocate per effettuare il riconoscimento attraverso i fotogrammi estrapolati dal video. Ed è così che fratello e sorella finiscono in carcere. Lui lavorava come fattorino, lei come commessa, entrambi vivevano con la madre disabile che viene dunque lasciata sola.

Gli avvocati si vedono respingere il ricorso dai giudici del tribunale del Riesame.

I due indagati si protestano innocenti.

I due fratelli non sono abbienti e sono ammessi al patrocinio a spese dello Stato, quindi non sono in grado di sostenere spese per una consulenza tecnica.

Il processo si sdoppia perché per alcune rapine si svolge col rito abbreviato, per altre si procede col rito ordinario.

Studiando gli atti l’avvocato si rende conto che prima del riconoscimento fotografico le farmaciste avevano detto di aver visto una donna mora, robusta, con vistose verruche sulla mani. Ma l’imputata non ne ha.

E poi, le farmaciste vedendola dal vivo in Aula hanno forti perplessità.

Quindi: assoluzione per non aver commesso il fatto.

La commessa era stata rinchiusa a Rebibbia 220 giorni e altri 40 agli arresti domiciliari. Il fratello aveva trascorso 210 giorni in cella.

Questo il primo processo con l’abbreviato. Restava il secondo col rito ordinario. E qui, nonostante le evidenze del processo già concluso con la doppia assoluzione, il Tribunale dispone una perizia antroposometrica. Gli esperti sono chiamati a valutare se gli imputati hanno sembianze compatibili con quelle dei rapinatori immortalati dalle videocamere.

La perizia conferma l’estraneità dei due e va perfino oltre indicando i possibili colpevoli: l’uomo sarebbe un individuo in passato coinvolto in altri delitti simili, la donna ha una serie di tatuaggi sul braccio ed è facilmente individuabile.

Ed ecco che fratello e sorella sono di nuovo assolti, a due anni dall’arresto.

Quando le sentenze diventano definitive i due presentano istanza però la riparazione per ingiusta detenzione. Ottengono un risarcimento di decine di migliaia di euro che non potrà pero mai ripagarli di quanto subito e sofferto.

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